Ab Urbe condita

a cura di Mirko Pellini

L’Italia ha una storia tra le più ricche e antiche del mondo, siamo nel 21esimo secolo ma ancora molto di noi non conoscono davvero la Storia, le nostre origini, il principio da cui siamo partiti come popolazione di questa terra per arrivare ad oggi. Per questo motivo in questa rubrica vorrei fare una cronistoria, dal 750 a.C. circa fino ai giorni nostri, per raccontarvi chi siamo e da dove veniamo, forse un modo per capire il motivo per cui molti amano questa terra e sono fieri di essere Italiani. Buona lettura.
Iniziamo dalla fondazione di Roma, siamo ai tempi di Troia e Cartagine, nel periodi dei miti di Enea e della potenza Etrusca nel 750 a.C..

Proprio da qui inizieremo il nostro racconto, da quando Enea, troiano reduce dalla sconfitta greca in patria, sbarcato sulle coste della penisola in cerca di luogo dove stabilirsi, trovò un accordo di pace con il re Latino e gli aborigeni residenti del luogo e prese in sposa la sua figlia, Lavinia, come segno di alleanza. Questo fece sorgere un conflitto con i Rutuli, al cui re era promessa in sposa Lavinia, il conflitto fu durissimo e Latino morì in battaglia. L’aiuto dei troiani fu però determinante e la prima battaglia fu una dura sconfitta per Turno e i Rutuli. Chiesero dunque aiuto agli Etruschi, comandanti da Mesenzio e in forze molto superiori ai Troiani. Quest’ultimo non perse occasione per contrastare la crescita di Enea e del suo popolo e si unì ai Rutuli nella seconda battaglia… Enea dal canto suo unì i due eserciti Troiano e Aborigeno e riuscì a sconfiggere l’esercito Etrusco, purtroppo fu la sua ultima opera mortale poiché cadde in battaglia e il suo corpo fu portato via dal fiume Numide. Lasciò il suo trono al figlio, Ascanio, il quale, data la sovrabbondanza di popolazione abbandonò la città del padre, affidandola alla madre Lavinia e ne fondò una sulla costa del monte Albano, nacque cosi Albalonga, detta Alba. Questo processo di passaggio durò circa 30 anni e nello stesso tempo era cresciuta nel periodo di pace la potenza dei Latini, il Tevere segnava il confine tra i loro territori e quelli Etruschi.

Dopo Ascanio altri 10 re regnarono su Alba, fino a Proca, che generò Numitore e Amulio, e fu al primogenito che lasciò eredità il regno, ma in realtà dopo la morte del padre, la violenza e cattiveria di Amulio ebbe la meglio e il fratello più giovane cacciò Numitore, usurpò il regno e fece uccidere tutti i figli maschi del fratello, eleggendo Sacerdotessa la sua unica figlia, Rea Silvia, costringendola a perpetua verginità. Ma il destino era già scritto, e Silvia rimase incinta, dando alla luce due gemelli. Il re ordinò subito la loro uccisione, e i suoi soldati presero i neonati e li gettarono nel fiume Tevere. In quei giorni però le acque del Tevere erano straripate e così i due predestinati non furono gettati nel bel mezzo della corrente ma in una laguna che ben presto era destinata e prosciugarsi e tornare terreno fertile. Fu allora che in quei luoghi deserti scese dalla montagna una lupa e il fato volle che diede loro nutrimento sufficiente a tenerli in vita.

Fu un pastore a trovarli mentre ancora si stavano nutrendo di latte dalle sue mammelle e Faustolo, così si narra si chiamasse il pastore, pensò di portarli alla moglie Larenzia, per crescerli ed aiutarlo con il gregge, dando loro i nomi di Romolo e Remo. Così nati, così allevati, appena furono grandi pur non trascurando le stalle e i pascoli, iniziarono a cacciare per i boschi, crescendo così forti e robusti. Faustolo sapeva che i due bambini erano di sangue reale, perché il parto di Silvia era noto quanto l’ordinanza del re, e non intendeva farlo sapere prima del tempo. Ma un giorno Remo fu accusato di aver invaso le terre di Numitore e fu consegnato allo stesso che lo imprigionò. Ma quando il fratello Remolo accorse con un gruppo di seguaci a liberarlo, Numitore, riconobbe i due nipoti per circostanze e tempi e accusò il fratello di crudeltà. Facendo questo lo fece condannare e diventò lui Signore di Alba. Per i due giovani la vita cambiò in quel momento, riconosciuti come eredi reali decisero di fondare e costruire una città in quegli stessi luoghi dove erano cresciuti… Ma la smania di avere un regno crebbe pian piano nel cuore dei due fratelli, e crebbe parallela la contesa per la supremazia. Poiché erano gemelli l’età non poteva far la differenza, si divisero dunque in due luoghi dove attendere la sorte e eventi di buon auspicio, il Palatino lo scelse Romolo e l’Aventino Remo. Si narra che nei giorni seguenti 6 avvoltoi in segno di buon auspicio si presentarono a Remo, ma il doppio furono invece quelli che si presentarono da Romolo. Da questo i rispettivi partigiani e sostenitori si divisero, con Remo al quale si erano presentati per primi gli uccelli, quindi con una prevalenza temporale, e con Romolo a cui invece si era presentato il numero doppio di avvoltoi. La contesa entrò nel vivo e la lite iniziò verbalmente per decidere chi doveva regnare per diritto dato che nessuno dei due voleva rinunciarvi. Nel bollore della lite vennero alle mani e Remo nella mischia cadde trafitto. La storia ufficiale racconta la vicenda come un invasione di Remo nelle mura di Palatino dove Romolo era di riposo e che quest’ultimo, sdegnato lo uccise, aggiungendo le parole di minaccia: “ Tal fine sia di ognuno chi d’ora in poi varcherà le mie mura”.

Così Romolo fu padrone del Regno e la città costruita ebbe nome dal fondatore, nacque Roma.

Fu retta, secondo la tradizione, da sette re fino al 509 a.C., che apportarono notevoli contributi allo sviluppo della società. Ognuno dei primi quattro, infatti, operò in un diverso ambito dell’amministrazione statale: il fondatore eponimo Romolo diede il via alla prima guerra di espansione contro i Sabini, antico popolo dell’Italia centrale. La loro zona di insediamento era la Sabina, area compresa all’incirca tra l’alto Tevere, il Nera e l’Appennino marchigiano, in corrispondenza cioè dell’odierna provincia di Rieti e della confinante regione dell’alto Aterno in provincia dell’Aquila. Guerra originatasi dall’episodio del ratto delle Sabine ( Romolo, dopo aver fondato Roma, si rivolge alle popolazioni vicine per stringere alleanze e ottenere delle donne con cui procreare e popolare la nuova città. Al rifiuto dei vicini risponde con l’inganno. Organizza un grande spettacolo per attirare gli abitanti della regione e rapisce le loro donne), e associò al trono il re nemico Tito Tazio, allargando per primo le basi del neonato Stato romano. Suddivise poi la popolazione in tre tribù e pose le basi per la ripartizione tra patrizi e plebei.

Il suo successore Numa Pompilio, (Regnò dal 715 a.C. – 673 a.C.) è stato il secondo re di Roma. L’incoronazione di Numa non avvenne immediatamente dopo la scomparsa di Romolo, ma per un certo periodo i Senatori governarono la città a rotazione, alternandosi ogni dieci giorni, in un tentativo di sostituire la monarchia con una oligarchia. Però, incalzati dal sempre maggiore malcontento popolare causato dalla disorganizzazione e scarsa efficienza di questa modalità di governo, dopo un anno i Senatori furono costretti ad eleggere un nuovo re. La scelta apparve subito difficile a causa delle tensioni fra i senatori Romani che proponevano il senatore Proculo ed i senatori Sabini che proponevano il senatore Velesio. Per trovare un accordo si decise di procedere in questo modo: i senatori romani avrebbero proposto un nome scelto fra i Sabini e lo stesso avrebbero fatto i senatori sabini scegliendo un romano. I Romani proposero Numa Pompilio, appartenente alla Gens Pompilia, che abitava nella città sabina di Cures[ ed era sposato con Tazia, l’unica figlia di Tito Tazio. Sembra che egli fosse nato nello stesso giorno in cui Romolo fondò Roma. Numa, concittadino di Tito Tazio, era noto a Roma come uomo di provata rettitudine oltreché esperto conoscitore di leggi divine, tanto da meritare l’appellativo di Pius. I Sabini accettarono la proposta rinunciando a proporre un altro nome. Furono dunque inviati a Cures Proculo e Velesio (i due senatori più influenti rispettivamente fra i Romani ed i Sabini) per offrirgli il regno. Inizialmente contrario ad accettare la proposta dei senatori, per la fama violenta dei costumi di Roma, Numa vi acconsentì solo dopo aver preso gli auspici degli dei, che gli si dimostrarono favorevoli; Numa fu quindi eletto re per acclamazione da parte del popolo. La leggenda afferma che il progetto di riforma politica e religiosa di Roma attuato da Numa fu a lui dettato dalla ninfa Egeria con la quale, ormai vedovo, soleva passeggiare nei boschi e che si innamorò di lui al punto da renderlo suo sposo. Appena divenuto re, sciolse il corpo delle guardie del re (i celeres) e nominò, a fianco del sacerdote dedito al culto di Giove ed a quello dedicato al culto di Marte, un terzo sacerdote dedicato al culto del dio Quirino. Riunì poi questi tre sacerdoti in un unico collegio sacerdotale che fu detto dei flamini a cui diede precise regole ed istruzioni. A lui viene ascritta anche una riforma del calendario, basato sui cicli lunari, che passò da 10 a 12 mesi di 355 giorni, con l’aggiunta di gennaio, dedicato a Giano, e febbraio che furono posti alla fine dell’anno, dopo dicembre (l’anno iniziava con il mese di marzo, da notare tuttora la persitenza di somiglianze dei nomi degli ultimi mesi dell’anno con i numeri: settembre, ottobre,novembre, dicembre).

Il terzo re, Tullo Ostilio, (Regnò dal 673 a.C. – 641 a.C.) riprese le ostilità contro i popoli
vicini, le sue guerre vittoriose con Alba Longa (a 19 km da Roma), Fidene (a 30 km) e Veio (a 610 km) indicano le prime conquiste del territorio latino e il primo allargamento del dominio romano oltre le mura di Roma. Fu durante il suo regno che avvenne il combattimento fra Orazi e Curiazi, i rappresentanti di Roma e di Alba Longa. Si dice che morì colpito da un lampo come punizione per il suo orgoglio. Tullo Ostilio va considerato semplicemente come il duplicato di Romolo, entrambi sono eletti fra i pastori, continuano la guerra contro Fidene e Veio, aumentano il numero dei cittadini, organizzano l’esercito e spariscono da terra in una tempesta. Poiché Romolo e Numa Pompilio rappresentano i Ramnes ed i Tities, così, per completare la lista dei quattro elementi tradizionali della nazione, Tullo è il rappresentante del Luceres ed Anco Marzio il fondatore della Plebe. La leggenda dice che Tullo era così occupato con una guerra dopo un’altra che aveva trascurato ogni servizio verso le divinità. Una peste terribile si abbatté sui Romani e anche Tullo ne fu colpito. Pregò Giove per avere il suo favore ed il suo aiuto ma la risposta del dio fu un fulmine che venne giù dal cielo, bruciò il re e ridusse la sua casa in cenere, dopo trentadue anni di regno. Ciò fu visto dai Romani come un’indicazione di scegliere meglio il nuovo re, un re che seguisse l’esempio pacifico di Numa Pompilio e scelsero Anco Marzio, suo nipote.

Il successore Anco Marzio, (Regnò dal 641 a.C. – 616 a.C.), riprende l’espansione verso sud a danno dei Latini delle città di Ficana e Politorium, guerra già avviata dal suo predecessore, portando alla schiavitù e alla deportazione di un certo numero di loro sull’Aventino e nella Valle Murcia, creando così il primo nucleo della plebe romana. Aggiunse così alla città di Roma, oltre all’Aventino anche il Gianicolo, e probabilmente anche il Celio. Durante il suo regno sono realizzate numerose opere architettoniche tra cui la fortificazione del Gianicolo, la fondazione della prima colonia romana ad Ostia alla foce del Tevere (a 25 km da Roma), “evidentemente perché già allora aveva il presentimento che le ricchezze ed i viveri di tutto il mondo sarebbero stati, un giorno, ricevuti lì, come se fosse lo scalo marittimo di Roma”; la costruzione della via Ostiense, dove per primo organizzò le saline e costruì una prigione, la costruzione dello scalo portuale sul Tevere chiamato Porto Tiberino e la costruzione del primo ponte di legno sul Tevere, il Ponte Sublicio. Ristabilì le cerimonie religiose istituite da Numa. A lui si fa discendere la definizione dei riti che dovevano essere seguiti dai Feciali perché la guerra dichiarata ai nemici non dispiacesse agli dei e potesse essere quindi una “guerra giusta”. Anco Marzio sarebbe soltanto un duplicato di Numa, come si potrebbe dedurre dal suo secondo nome, Numa Marzio, dal confidente e pontefice di Numa, non essendo niente altro che Numa Pompilio stesso, rappresentato come sacerdote. L’identificazione con Anco è indicata dalla leggenda che indica quest’ultimo come un costruttore di ponte (pontifex), il costruttore del primo ponte di legno sopra il Tevere. È nell’esercizio delle sue funzioni sacerdotali che la somiglianza è mostrata più chiaramente.

Ai primi quattro re, di origine latina, fecero seguito altri tre di origine etrusca: verso la fine del VII secolo a.C., infatti, gli Etruschi, all’apogeo della loro potenza, estesero la loro influenza anche su Roma, che stava divenendo sempre più grande e la cui importanza a livello economico iniziava a farsi considerevole. Era dunque fondamentale per gli Etruschi assicurarsi il controllo su una zona che assicurava il passaggio delle rotte commerciali; comunque non si ebbe mai un reale controllo militare etrusco su Roma.

Il primo re etrusco, Tarquinio Prisco, (Regnò dal 616 a.C. – 579 a.C.), si fece notare per le sue qualità e la sua generosità, tanto che Anco Marzio volle conoscerlo e, una volta divenuto amico, prima lo fece entrare tra i suoi consiglieri, poi decise di adottarlo, affidandogli il compito di proteggere i suoi figli. Secondo alcuni studiosi come Giuseppe Valditara, ricoprì anche la carica dimagister populi. Alla morte del re, Tarquinio riuscì a farsi eleggere re dal popolo romano come figlio di Anco Marzio salendo al potere in seguito a una congiura contro lo stesso Marzio. Combatté contro i popoli confinanti, ordinò la realizzazione di numerose opere pubbliche, tra cui il Circo Massimo, la Cloaca Massima e il tempio di Giove Capitolino sul Campidoglio e apportò, infine, anche alcuni cambiamenti in campo culturale e riformò anche lo stato, aumentando il numero dei membri dell’assemblea centuriata a 1.800 componenti (contro il parere di un certo Attio Nevio) e raddoppiando il numero di senatori, dai 100 membri romulei ai 200.

Il suo successore, Servio Tullio, (Regnò dal 578 a.C. – 539 a.C.), fu l’autore della più importante modifica dell’esercito dell’epoca pre-repubblicana, dividendo la popolazione in classi. Si rese conto, infatti, che per assicurare a Roma una forza militare sufficiente a mantenere le proprie conquiste era necessario un esercito più numeroso di quello che possedeva (un’unica legione di circa 3.000 uomini, detto esercito romuleo). Ampliò il pomerium ed aggiunse alla città di Roma i colli Quirinale, Viminale e Esquilino, scavando poi tutto intorno al nuovo tratto di mura un ampio fossato. Fece, quindi, costruire insieme agli alleati latini, sull’Aventino, il tempio di Diana, che corrisponde alla dea greca Artemide, il cui tempio si trovava ad Efeso, trasferendo da Ariccia il culto latino di Diana Nemorensis. Come per i Greci, per i quali il tempio di Artemide rappresentava una federazione di città, con il tempio di Diana, costruito intorno al 540 a.C., i Romani miravano a porsi come centro politico e religioso delle popolazioni del Lazio e forse anche dell’Etruria meridionale. E sempre a Servio si ascrive anche la decisione di costruire il Tempio di Mater Matuta ed il Tempio della Dea Fortuna, entrambi al Foro Boario.
Ultimo monarca a governare Roma fu Tarquinio il Superbo, (Regnò dal 535 a.C. – 509 a.C.).

Figlio di Tarquinio Prisco, e fratello di Arunte Tarquinio, sposò prima Tullia Maggiore, la figlia maggiore di Servio Tullio, poi sposò la sorella di questa, Tullia Minore, da cui ebbe i tre figli Tito, Arrunte e Sesto, e con il cui aiuto organizzò la congiura per uccidere il suocero ed ascendere sul trono di Roma. Tito Livio ci racconta che Tarquinio un giorno si presentò in Senato e si sedette sul trono del suocero rivendicandolo per sé; Tullio, avvertito del fatto, si precipitò nella Curia. Ne nacque un’accesa discussione tra i due, che presto degenerò in scontri tra le opposte fazioni; alla fine il più giovane Tarquinio, dopo averlo spintonato fuori dalla Curia, scagliò il re giù dalle scale. Servio, ferito ma non ancora morto, fu finito dalla figlia Tullia Minore che ne fece scempio travolgendolo con il cocchio che guidava. A Tarquinio fu attribuito il soprannome di Superbo dopo che negò la sepoltura di Servio Tullio. Tarquinio assunse il comando con la forza, senza che la sua elezione fosse approvata dal Popolo e dal Senato romano, e sempre con la forza (si parla anche di una guardia armata personale) mantenne il controllo della città durante il suo regno. In breve tempo annientò la struttura fortemente democratica della società romana realizzata dal suo predecessore e creò un regime autoritario e violento a tal punto da unire per la prima volta, nell’odio verso la sua figura, patrizi e plebei. Espulso dall’Urbe nel 510 a.C., secondo la leggenda con l’accusa di aver violentato la giovane Lucrezia.
Costretto a fuggire con la moglie ed i figli a Cere, dopo ventiquattro anni di regno, il vecchio sovrano non si diede per vinto, e tentò di restaurare il proprio regno con l’aiuto di Porsenna, re di Clusium, a cui si alleò, e delle città latine avversarie di Roma. Nonostante i successi ottenuti dal lucumone etrusco, Tarquinio non riuscì a rientrare nell’Urbe. Tarquinio allora, con i propri familiari, pose la propria base a Tuscolo, governata da suo genero Mamilio Ottavio. Questo cavalcò il malcontento delle città Latine, adoperandosi in funzione anti-romana.

Intanto Tarquinio riuscì ad ottenere il sostegno degli Etruschi di Tarquinia e Veio, ponendosi al comando di un esercito, che si scontrò contro quello romano, condotto dai consoli Lucio Giunio Bruto e Publio Valerio Publicola, nella sanguinosa battaglia della Selva Arsia, in territorio romano. La battaglia, a lungo incerta, vide la vittoria dei romani.

Lo scontro inizialmente temuto si concretizzo nel 499 a.C., quanto gli eserciti romani e latini si scontrarono nella battaglia del Lago Regillo. L’esercito romano fu affidato Aulo Postumio Albo Regillense, nominato dittatore per fronteggiare la crisi, ed a Tito Ebuzio Helva, suo magister equitum, mentre quello latino era guidato da Mamilio e dallo stesso Tarquinio.

Tarquinio morì nel 495 a.C., mentre si trovava in esilio a Cuma in Campania. La notizia della morte dell’ultimo re di Roma fu accolta con manifestazioni di entusiasmo che coinvolsero tutta la città.

Il patriziato romano, comunque, non era più disposto a sottostare al potere centralizzato del re, ma desiderava acquisire un’influenza, in campo politico, pari a quella che già rivestiva negli altri ambiti della vita civile.

Siamo arrivati al 495 a.C., non perdetevi le prossime uscite de “La Spada di Damocle” per proseguire il nostro viaggio nella storia.

Fonti: Erodoto, “Storie”, Strabone, “Storia Romana”, Tito Livio, “Istorie”, Cassio Dione, “Storia Romana”.

dalla Spada di Damocle – Maggio 2016

 

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