di Marco Spinelli
a parità dei diritti secondo me non è altro che il coronamento nella sua forma più completa di coesione sociale e uguaglianza tra gli individui.
Sono particolarmente favorevole al fatto che questa idea si protragga e affermi nel tempo fino al suo completamento, ma bisogna valutare attentamente cosa renda pari l’uomo e la donna, cosa li possa contraddistinguere, come gestire questa parità in famiglia per evitare che i due ruoli che si sormontino a vicenda, con risultati spesso lesivi per la stessa coppia o bambini (se ve ne sono), ed infine quali siano le possibilità per cui la parità venga applicata a tutti gli italiani od ospiti di questo piccolo ma meraviglioso Paese che è l’Italia.
Riguardo il primo concetto, l’uguaglianza è sicuramente legata ai diritti degli individui, che devono essere condivisi: nessuno dovrebbe pensare che un uomo abbia più diritti di una donna o viceversa, solo perché è del sesso opposto. La condivisione dei diritti fondamentali è forse il punto cardine di tutte le più grandi nazioni occidentali moderne, cosa che spesso non possiamo dire di alcune teocrazie mediorientali; quindi, come per il diritto allo studio, i diritto al lavoro ed alla sicurezza, c’è anche il diritto a ricevere una paga dignitosa per il lavoro che si svolge, come recita l’articolo 23 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, e come la nostra Costituzione riporta nell’art. 36, titolo III nella parte I.
In Italia ci sono ancora situazioni di lavoratrici donne che ricevono a parità di ore/lavoro una paga inferiore ai colleghi uomini, con stesso inquadramento contrattuale. Il secondo punto è il voler valorizzare le differenze che maschi e femmine hanno nel loro essere tali e, senza scendere in inutili e controproducenti stereotipi per il discorso che stiamo intraprendendo, è oltremodo chiaro e limpido che ci sono caratteristiche anatomiche e di pensiero che rendono uomini e donne non accomunabili.
Basti pensare innanzitutto alla corporatura, alla disposizione del grasso corporeo, al livello ormonale e, senza andare nel banale, ad organi differenti con differenti funzioni. Riguardo al pensiero, la questione è più difficile da vedere ad occhio nudo, però il fatto che gli uomini spesso abbiano maggior “cameratismo” con altri uomini e le donne con altre donne è abbastanza chiaro, come ci siano attività di svago più apprezzate da uomini o da donne è nella
stessa maniera lampante.
Quindi non sto dicendo che ci sono lavori esclusivamente per uomini o per donne, ma ce ne possono essere, come per la maestra d’asilo è preferibile una figura femminile, o un docente delle scuole superiori che sia maschile. Non che uno non possa fare l’altro, però è così nel nostro immaginario collettivo.
Concludo con l’ultima parte che a parer mio è forse il fulcro di tutto il mio scritto: in una società ideale dove uomo e donna hanno pari diritti, pari doveri e come detto vengono valorizzate le differenze, voi fareste in modo che una donna diventata madre possa accudire ed educare il proprio figlio stando a casa e quindi contare sulla paga dell’uomo (suo compagno) che, come sancito dalla costituzione, sia comunque dignitosa senza far nulla a lei e al suo bambino?
Personalmente credo sia assolutamente questa la strada che bisognerebbe percorrere, anche se al momento sarebbe impensabile che una madre si assenti dal lavoro tanto tempo, soprattutto ora che con due paghe, magari di lavoratori non specializzati, non è sempre facile arrivare a fine mese. In una società più giusta e più votata al benessere dei propri cittadini, per me questo sarebbe fondamentale.
Da La Spada di Damocle – Marzo 2016