di Simone Marletta
EVOLA, GLI UOMINI E LE ROVINE, MEDITERRANEE, ROMA 2001.
Gli uomini e le rovine è un testo che Evola scrisse in prima edizione nel 1953. Lo scrisse in risposta a delle richieste di chiarimento che gli venivano da alcuni gruppi di giovani di destra che chiedevano lumi circa quali principi dovessero guidare la loro azione politica nello specifico contesto storico dell’Italia del secondo dopoguerra (un mondo di “rovine” appunto). Per questi giovani, a dire il vero, già un anno prima, Evola aveva scritto un breve opuscolo intitolato Orientamenti, in cui in modo molto sintetico prendeva posizione sulle più importanti e a suo giudizio urgenti questioni politiche. In questa recensione volevo limitarmi a segnalare alcune questioni che rendono a mio giudizio la lettura di questo testo ancora oggi attuale. Ciò a dispetto del fatto che si tratta di un libro scritto più di 50 anni fa.
Innanzi tutto volevo rilevare l’importanza della concezione evoliana dello Stato, inteso come entità che deve avere una spinta metafisica, ossia una spinta “verso l’alto” in grado di contrastare efficacemente le possibili pulsioni dei cittadini che invece tendono verso il “basso”. Tale Stato per Evola ha una natura “organica”, per cui in esso i cittadini risultano raggruppati sulla base delle rispettive funzioni sociali svolte ed al tempo stesso tutte le diverse attività sono coordinate verso un fine comune, che non è altro che ciò che di solito chiamiamo “bene comune”. In secondo luogo troviamo in questo testo una critica molto serrata del totalitarismo, inteso come sistema politico in cui la libertà dei cittadini è negata ed in cui ogni libera e spontanea iniziativa è schiacciata da un ordine meccanico che cerca di controllare tutto.
Vi sono poi moltissimi altri temi affrontati, quali ad esempio quello del giusto rapporto fra politica ed economia, oppure quello della individuazione degli elementi della nostra storia passata da cui, secondo Evola, bisognerebbe ripartire per fondare una positiva azione ricostruttrice. Oppure ancora quello attualissimo della unità europea, una unità che per Evola non può che essere di natura spirituale. Infine segnalo un capitolo molto interessante dedicato alla cosiddetta “guerra occulta”, ossia a quella battaglia ideologica portata avanti da alcuni intellettuali (molti a dire il vero N.d.A.), i quali, falsificando la nostra storia passata e gettando il discredito su quanto di bello e di grande è stato fatto, producono una visione degradata della vita che in fondo è funzionale all’instaurazione di quello che altri autori hanno chiamato “il nuovo ordine mondiale”, ossia il consumistico mondo globalizzato.
In conclusione quella che mi sembra essere la più importante lezione politica di Evola, che emerge anche in questo testo, è la seguente: il fine dell’organizzazione politica deve essere la libertà dell’uomo, una libertà vera che dà prova di sé soltanto nell’adempimento dei propri doveri e nello svolgimento di un compito preciso. Questa libertà è ben altra rispetto a quella di cui si fa un gran parlare (quella delle Femen ad esempio) che invece di testimoniare la dignità dell’uomo, sancisce la sua servitù alla parte più bassa ed istintuale. L’uomo è una via di mezzo fra una bestia ed un dio, diceva Eraclito: sta a lui decidere quale strada intraprendere.
Da La Spada di Damocle n. 5 – Dicembre 2015