RACCONTO – I Giorni di Mogontiagum

di Luigi Tramonti

INTRODUZIONE
19 marzo 235 d.C. L’imperatore dei Romani Alessandro Severo, asserragliato a
Magonza (Germania) con la madre Mamea e il suo stato maggiore, riceve la
notizia della rivolta portatagli da Massimino il Trace, un titanico guerriero greco
integrato nelle armate imperiali, e dei perversi giochi di potere del decadente
Senato Capitale.

L’Imperatore fissava impaurito l’accampamento in fermento, i legionari correvano da ogni parte come api impazzite mentre i pochi ufficiali sopravvissuti alla rivolta delle ore precedenti si erano uniti alla turba di sciacalli e saccheggiavano le tende dei Legati. Nella cittadella di Mogontiacum Alessandro Severo si sentiva al sicuro, circondato dai Germani Corporis Custodes e tranquillizzato dalle parole della madre Giulia Mamea. Mamea era seduta sul trono riservato all’Imperatore, mentre questi stava seduto alla base della piattaforma che elevava l’Augusta al di sopra dei comuni mortali e ascoltava il proprio precettore dissertare di Filosofia. Il Ghiottone, cortigiano adibito al divertimento dell’Imperatore, stava rosicchiando ingordamente un bastone: era deforme e grottescamente grasso, nessuno
ricordava il suo vero nome, era stato catturato durante la lunga campagna contro Ardashir e Alessandro non aveva voluto più separarsene.

Il precettore Diocle, greco di nascita, dietro alla folta barba bianca aveva un’espressione di paura stampata in volto e il capo dei Germani Wanyr attendeva ordini alla destra del Trono Imperiale.

«Wanyr, raduna i Germani all’ingresso della Cittadella e fai in modo che non entri nessuno, i quattro uomini più fidati difendano l’imperatore» ordinò Mamea fissando il robusto Germano «Diocle, lascia a me l’Imperatore e prepara una lettera per il Senato, informali che le Germanie e la Pannonia sono perdute e ordina a quei vecchi che dichiarino quel Trace Hostis Publicus. Scrivi un’altra missiva per il Prefetto, chiunque sia, ordinando di fortificare l’Urbe e costituire una legione ausiliaria di Pretoriani». Terminato di parlare Giulia Mamea osservò i due uomini uscire dalla Sala del
Trono e infine chiamò a se Alessandro.

«Figlio mio, sii forte, sei l’uomo che regge i destini del mondo, hai il sangue di Severo che ti scorre nelle vene, quel Trace sarà sconfitto e tu tornerai a sedere nell’Urbe, di fronte al Senato e deciderai dell’intera umanità.» Alessandro guardò disilluso la madre e le disse con tutta sincerità ciò che pensava. «Non torneremo mai a Roma, il vecchio Pupieno è bramoso della Porpora come e più del Trace, aspetteranno che io e l’usurpatore ci scanniamo come lupi per elevare quel serpente al mio rango, oh come sarebbero migliori l’Urbe e il mondo senza il suo passo strascicato…»

Mamea era veramente meravigliata, se suo figlio si era dimostrato un pessimo generale ora sembrava un promettente politico, ma forse non era tanto lui a parlare quanto Diocle e decise di lasciar correre. «Wanyr e i suoi Germani proteggeranno la tua vita e io ti procurerò un salvacondotto per fuggire al di là del mare, dai Re Numidi. Lasciamo che siano il Senato e Massimino a combattere, non mettiamo in pericolo le nostre vite.»

«Madre…» ma non arrivò a finire la frase che cominciarono a risuonare grida di vittoria al di fuori delle mura della cittadella. «Massimino! Il Trace è qui! Oggi si spegne la Casa di Severo!» l’Imperatore ebbe un tremito e crollò in ginocchio, piangendo. Mamea lo colpì con uno schiaffo «Sei l’uomo più potente dell’Urbe, nessuno ti eguaglia in cultura e potenza. Comincio a credere che il Trace non abbia sbagliato a giudicarti.»

In quel momento cominciarono a sentire dei colpi sempre più forti sul portone della Cittadella: un ariete lo stava sfondando. Il Ghiottone stava sudando copiosamente in un angolo mentre continuava a mordere il suo bastone. I germani di Wanyr, lui compreso, aspettavano con il gladio sguainato davanti al portone, pronti a morire per l’Imperatore e per l’Augusta. Diocle aveva smesso di scrivere le sue missive e aspettava con estremo terrore lo sfondamento del portone.

Un colpo dopo l’altro gli enormi cardini del portone cominciarono a piegarsi, e il pensiero di Wanyr corse alla donna che aveva lasciato con un bacio lassù oltre il Reno e al figlio che non vedeva da anni, non sarebbe arrivata loro nessuna gratifica per la morte in guerra ma la sua testa e due righe scritte su un papiro scadente. Strinse i denti e attese, davanti a tutti i suoi uomini, lo sfondamento della porta. Stava fissando dritto davanti a se quando i cardini esplosero e una tempesta di morte e dolore si riversò su di loro. Una sola ombra mastodontica si stagliava davanti a lui, aveva visto di sfuggita il Trace a Sirmium ma non era la stessa cosa che trovarselo davanti bardato da guerra, Massimino era più alto di due uomini ed era il soldato più possente di tutto l’Impero, “Ottima scelta, camerati” pensò mentre il gladio dell’usurpatore lo squarciava dalla spalla all’inguine. In men che non si dica dei valorosi Germani Corporis Custodes non rimaneva più nulla. Il titanico imperatoresoldato avanzò verso Severo, lo prese per la gola e con una rapida torsione della mano gli spezzò la spina dorsale mentre le lacrime gli rigavano le guance. Mamea si alzò in piedi, si guardò attorno e vide solo quelli che un tempo erano stati i suoi soldati calare il gladio su Diocle e sul Ghiottone.

Mentre Massimino puliva il gladio e si preparava a completare la distruzione del Casato più potente del mondo, Giulia Mamea lo fissò intensamente negli occhi: «Un’Imperatrice muore in piedi».

 

Da La Spada di Damocle – Febbraio 2016

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