Mary Poppins secondo Walter Elias Disney

di Elisabetta Sarzi

Tutti conosciamo questo celeberrimo film che ha segnato l’infanzia di molti di noi.

Mary Poppins (1964), diretto da Robert Stevenson, è basato sulla serie di romanzi scritti da Pamela Lyndon Travers.

Durante queste festività, precisamente l’1 gennaio, è stato trasmesso sul piccolo schermo dalla Rai e ne ho ovviamente approfittato per rispolverare i miei ricordi: ero cosciente che sarebbe stato diverso riguardarlo a 25 anni ma non immaginavo di certo che avrei saputo cogliere tanti aspetti e tanti messaggi di cui da bambina nemmeno mi accorgevo, com’è normale che sia. Vorrei quindi ripercorrere con voi i punti salienti di questa storia nel modo in cui l’ho vista io, ossia con occhi nuovi.

Tutto si svolge nella Londra del 1906 al numero 17 del Viale dei Ciliegi, in un graziosa villetta tipica della media borghesia di quell’epoca, abitata dall’impeccabile, disciplinato e severo bancario George Banks con la moglie Winifred, i suoi due bambini e due domestiche.

Il primo aspetto che ha subito attirato la mia attenzione è stato il personaggio della signora Banks: una donna estroversa, sbadata, frizzante e costantemente impegnata nel movimento delle Suffragette. Non avendo ahimè letto il romanzo, ho scoperto in seguito che questo particolare non esisteva nella storia originale della Travers e fu un’invenzione di Disney.

La signora Banks, presa dalla sua attività politica, vede improvvisamente fallire l’ennesimo tentativo di tenere una tata per i bambini, i quali continuano a fuggire. Al ritorno dal lavoro in banca, il marito viene a conoscenza dei fatti e si infuria subito con la moglie, ritenendola colpevole e incapace di cercare una tata adatta, assumendosi quindi lui stesso la responsabilità del compito.

E qui viene un altro punto che colpisce la mia attenzione, che da bambina logicamente non coglievo: tra le note di una graziosa ed orecchiabile parte cantata, questa scena è particolarmente rivelatrice del tipo di adulti e genitori che Disney vuole presentarci. In assenza del marito, la signora Banks è l’emancipata e moderna suffragetta che non pare occuparsi poi molto delle vicende dei bambini (tant’è vero che quando l’ultima tata rassegna le dimissioni per l’ingestibilità dei bambini, lei sembra cadere dalle nuvole). Ma non appena si ritrova a confrontarsi col marito circa l’accaduto e lui perde le staffe, tutto il senso di ribellione, indipendenza e combattività quasi paleo-femminista scompare: di fatti continuerà a scusarsi con lui, a sentirsi tremendamente colpevole, a dargli ragione e a sottomettersi ad ogni tipo di severo rimprovero. Comportamento che cozza sicuramente con l’atteggiamento che aveva tenuto poco prima, quando cantava:

            «Veri soldati in gonnella siam.

Del  voto alle donne gli alfieri siam.

Ci piace l’uomo preso a tu per tu,

ma al governo lo troviamo alquanto scemo.

 

Lacci e catene noi spezzerem

e tutte unite combatterem.

Noi siam le forze del lavoro

e cantiamo tutte in coro:

Marciam! Suffragette, a  noi!

 

Non puoi arrestarci o maschio

son finiti i tempi tuoi.

È un solo grido unanime: Femmine, a noi! […]»

Abbiamo poi il personaggio del signor Banks, che ritengo sia quasi il protagonista della storia, o per lo meno lo è di più dei due figli o di Mary Poppins stessa. Già all’inizio del film si può intuire che tipo di uomo e di padre sia: rigido, severo, convenzionale e composto, amministra la propria casa come la banca in cui lavora ed è piuttosto assente dal punto di vista affettivo (tanto che i bambini si sorprenderanno di fare un’uscita con lui quando li porterà alla banca).

È con lui che arriveremo a uno di quelli che ritengo i due punti clou: vuole che i suoi figli seguano le sue orme, la finanza, e Mary Poppins gli consiglia di portarli con sé alla banca. Durante il tragitto, i bambini ed il papà incontrano presso la Cattedrale la vecchietta dei piccioni, di cui Mary Poppins aveva loro parlato. Michael vorrebbe donarle i 2 penny da lui risparmiati, ma il padre lo trascina in banca e cerca di convincerlo coi superiori e il direttore Dawes a depositare lì il suo denaro. Spaventati da quel mondo avido, i bambini scappano tra lo scompiglio generale. Per questo Banks.

Nel libro c’è sì l’episodio della visita di Michael e Jane alla banca, però sono accompagnati da Mary Poppins e non dal signor Banks, anche se i ragazzi non arrivano fino all’ufficio del padre, ma si fermano dalla vecchietta degli uccelli. Perciò la scena del banchiere che vuole i due penny di Michael, la fuga dei bambini e il licenziamento di Banks per quanto avvenuto, sono state aggiunte dalla Disney. E siamo già a due invenzioni nuove che portano la storia in tutt’altra direzione.

Grande è stata la maestria di Disney nel rendere il mondo delle banche e il potere finanziario: una manciata di vecchi avidi, ingannatori, ingessati e folli tanto innamorati del denaro che avrebbero preso anche due miseri penny dalle mani di un bambino. Singolare poi la scelta di un’atmosfera quasi da setta o da loggia, dalla quale Banks viene escluso e licenziato con un preciso rituale dopo il parapiglia causato dai figli. Molto significativo anche il risveglio di George Banks dal torpore di quel mondo che lo aveva sempre irrigidito e allontanato dal suo ruolo di padre di famiglia.

Era da molti anni che non guardavo questo film e sono stata sorpresa dai molteplici messaggi ideologici che cerca di trasmettere ma che da piccola non riuscivo a vedere. Non mi ero mai resa conto di quanto raccontasse il mondo reale e di come questo non sia cambiato molto dal 1964 ad oggi.

Ci sono generazioni di Jane e Michael Banks che scappano, continuano a scappare, perché senza guida e senza riferimenti morali perché chi dovrebbe occuparsene è incapace o distratto da altro.

Ci sono milioni di Winifred Banks che inseguono senza sosta strani modelli di indipendenza e libertà ma che non riescono ad alzare la testa davvero e che dimenticano il valore del proprio compito.

Ci sono milioni di Dawes dediti al denaro, che si sfregano le mani sogghignando ad ogni spicciolo e risparmio che riescono ad intascare e che determinano addirittura se un Paese debba cadere o meno.

 

«Se quei due penny in banca subito impiegar tu li sai senza troppi sforzi in breve raddoppiar li vedrai.

Saran sicuri nei forzieri e null’altro dovrai far

che affidarti a noi banchieri

che sappiam quel che più convien comprar.

[…]

Con due grami, miseri, semplici penny che hai versato in banca

o meglio ancora nella grande banca Dawes di credito, risparmio e sicurtà!

Se tu non perdi tempo e i due penny dai un bel dì

arrivar alle stelle il tuo credito vedrai

sempre grazie a noi qui.

Ed anche tu potrai godere dei vantaggi del denar

e raggiunger quel potere che soltanto il credito può dar […]

Finché la Banca d’Inghilterra sta in piedi, l’Inghilterra sta in piedi.

Se crolla la Banca d’Inghilterra, crolla l’Inghilterra. […]»

Ritengo che soprattutto queste due ultime frasi siano molto significative per ciò che stiamo vivendo noi oggi. George e Winifred Banks sono due persone troppo occupate, distratte e intrappolate da finanza e attivismo e sono esattamente questi che impediscono loro di rendersi conto realmente delle fughe dei figli.

Nel romanzo, Mary Poppins è funzionale a “salvare” Jane e Michael mentre Disney ritiene che lei serva a salvare il padre, non i bambini. Di fatti è lui che con una consapevolezza nuova sente immensa gratitudine per la tata magica: riscoprire la gioia e il valore per nulla scontato della famiglia unita, del ruolo di guida e protezione che da padre e da marito dovrebbe avere, così da coinvolgere in questa rinascita anche la moglie.

Ho trovato nella famiglia Banks la rappresentazione di una società intera, sia distratta da specchietti per le allodole sia bisognosa di una guida etica e morale, lo specchio di generazioni di adulti e giovani che aspettano solo un aiuto per riuscire a trovarsi di nuovo e far volare insieme i loro aquiloni.

«Con due penny ti puoi comperar

Carta e spago e puoi fabbricar

Il tuo paio di ali per poi volar

Dello spazio padron

Col tuo bell’aquilon»

Da La Spada di Damocle n. 6 – Gennaio 2016

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