di Fabio Rampelli*
Lo sgomento è scolpito nei nostri cuori e la partecipazione al dolore delle famiglie colpite dalla tragedia di Parigi resta viva e presente in ogni cellula del nostro corpo. Ma a pochi giorni da quella raffica di attentati giunge il momento delle riflessioni.
Lo stile di vita occidentale subisce una guerra che è stata dichiarata mille volte dal terrorismo islamico. Si tratta di atti ufficiali consegnati dai capi delle principali organizzazioni jahidiste alle reti d’informazione e rimbalzate su tutti i media del pianeta. Da circa 20 anni.
Dichiarazioni che non sono mai state prese seriamente, nemmeno di fronte alle stragi più efferate.
L’Occidente è diviso. L’Europa resta fragile. Francia e Germania parlano tra loro con il coltello dietro la schiena pur avendo stessi obiettivi di egemonia, la Gran Bretagna parla d’Europa solo quando vuole uscirne, l’Italia viene esclusa dai ‘formati’ per restare nella morsa delle altre potenze. I paesi economicamente più deboli sono terra di conquista, come dimostra il protagonismo tedesco su balcani ed est europeo. La Francia punta su Africa e Nordafrica, mentre la Russia resta uno storico nemico invece che un tassello fondamentale per rendere competitivo nell’era globale un vecchio continente con dimensioni bonsai… Finora è stato impossibile stabilirci perfino un’alleanza contro la jihad. Anche gli Stati Uniti d’America vogliono evitare che l’Europa cresca troppo e si saldi con la Russia mettendo in pericolo la loro egemonia sul pianeta. Insomma, è in atto nel terzo millennio la solita guerra del tutti contro tutti che ha animato l’Occidente nei due conflitti mondiali. Prima ci si sparava contro, ora si spara contro qualcun altro, ma funziona come nel detto “parlo a nuora affinché suocera intenda”. Non sparo a te, ma bombardo la Libia, tanto per capirci. E al proposito il Governo italiano deve smetterla di aspettare che tutti si mettano d’accordo per scendere in campo. In Siria c’è la fila per chi debba fare incursioni aeree, non si sa cosa sia rimasto in piedi di quel Paese pieno di cultura e sapere. Tra un po’ si daranno i numeretti per stabilire i turni delle bombe. Quello siriano è un conflitto geopolitico tutto occidentale di cui l’Isis rappresenta solo un pretesto.
Autorevoli personalità in questi giorni hanno detto che siamo in guerra e risponderemo ‘con mezzi appropriati’.
Ma casomai sfuggisse, per fare una guerra serve un nemico accertato. Il primo problema è che non tutta la comunità internazionale riconosce nello stato islamico il suo nemico. Alcuni Paesi vogliono farci patti e questo è un nodo da sciogliere.
Altri ci fanno tuttora affari, ed è un altro nodo. Per avere successo in questa guerra occorre stroncare il traffico finanziario, che fu molto florido con Al Qaeda e Osama Bin Laden tanto quanto oggi lo è con l’Isis. La vendita di armi vede coinvolti Stati Uniti, Cina, Russia e altri Paesi europei, come dimostrano gli assalti di Parigi. Non è carino trovarsi al fronte con le armi degli alleati strette in pugno dai propri avversari, problemino di qualche importanza. Ma ci sono altri affari incontrastati: il traffico di uomini e la loro migrazione verso il nord, il traffico di droga, quello di organi, spesso a discapito di creature innocenti. Nessuno si preoccupa di contrastarli. Così come i 20 milioni di dollari introitati dal terrorismo attraverso i rapimenti e i riscatti pagati dai paesi occidentali, Italia inclusa.
Per sostenere un conflitto contro il neo califfato terrorista servono alleati islamici fedeli, affinché non si inneschi la pericolosa dinamica della guerra di religione. Ma questi alleati vanno messi con le spalle al muro: di qua o di là. E finora nessuno lo ha fatto. I principali finanziamenti all’Isis vengono infatti da Qatar, Kuwait, Arabia Saudita, Paesi islamici storici, partner commerciali di tutto l’Occidente. Ma anche in Italia o in Europa si aspetta che le nostre comunità islamiche cosiddette ‘moderate’ scendano in campo, non si nascondano dietro freddi comunicati stampa ma si schierino ufficialmente, mettendoci la faccia, contro l’Isis e il terrorismo. Se non lo fanno qualcosa non funziona nelle nostre moschee, nelle prediche degli Imam, nel loro rapporto con lo Stato italiano. Lo ius soli, da noi sempre giudicato demenziale, s’infrange su questa insincerità di fondo che rischia di trasformare in cittadini italiani persone di religione islamica che non si riconoscono nella nostra cultura e nella nostra architettura costituzionale perché antepongono Maometto alla comunità nazionale. No, non funziona.
Per fare una guerra dichiarata da altri servono motivi che non siano semplicemente il diritto di guardare le partite di calcio allo stadio o partecipare a un concerto heavy metal… L’Occidente deve recuperare i propri valori profondi e avere voglia di difenderli e propagarli. L’Unione europea non emoziona nessuno, nessuno si batterebbe per essa, come purtroppo affermano i terribili numeri di un sondaggio che vede pochissimi europei disposti a combattere contro il terrorismo islamico. In Italia il 30%, un record. Ma rimane una cifra deprimente che dovrebbe indurci forse a riconsiderare la già abolita leva obbligatoria. Lo dico da protagonista storico della sua richiesta di abrogazione, ma all’epoca le condizioni non erano queste.
Per vincere la battaglia serve la diffusione di questi valori nel territorio dove, stando ad Al Jazira, l’80% degli arabi condivide l’Is e le sue conquiste. Serve la rete, la contaminazione culturale dei giovani, l’istruzione, il lavoro, lo sviluppo, non possiamo al contrario risucchiare centinaia di migliaia di migranti ogni anno e svuotare quelle nazioni dalle persone da cui ci si aspetta la rivoluzione democratica. Chi dovrebbe farla? Gli anziani, le donne e i bambini che rimangono in patria mentre le persone adulte e abili se la danno a gambe in Europa sbarcando sulle coste siciliane e sulle isole greche? La democrazia non s’impone dall’esterno con le armi, ma si afferma con il consenso. Come e chi esercita questo ruolo di fabbricatore di consensi per i valori dell’occidente? Quali governi amici, quali movimenti e partiti? Sono le popolazioni islamiche a doversi conquistare il diritto alla libertà contro i tiranni, le bombe da sole hanno provocato solo rancore e risentimento.
Per vincere occorre piantarla con l’ipocrisia e sapere che rinnegare la propria identità aiuta i terroristi. Non dobbiamo togliere i crocifissi dalle scuole, così come nessuno tra noi può chiedere di eliminare i simboli della propria cultura dai Paesi arabi. L’integrazione è la somma delle identità, non la loro distruzione.
Per avere successo in questo dramma internazionale serve ammettere che l’attuale gestione del fenomeno migratorio è catastrofica e pericolosa. E’ vero che non tutti i richiedenti asilo sono Jihadisti ma è anche vero che alcuni di loro possono esserlo e per nessuna ragione può accadere quanto si è verificato a Merano dove i terroristi arrestati avevano case popolari e 2mila euro al mese di sussidio da parte del comune. E siamo stufi delle dichiarazioni di principio e degli scioglilingua nei Tg dei rappresentanti del Governo, vogliamo un cambio di rotta. Iniziando a non immettere nel circuito dell’accoglienza coloro sui quali non si abbiano notizie rassicuranti in ordine al loro passato e rimpatriando immediatamente con 1 miliardo messo sulla legge di stabilità chi ha avuto risposta negativa alla prima domanda di protezione internazionale. Potranno fare ricorso da casa loro, non restare in Italia fino a tre anni scorrazzando senza controlli di alcun tipo nelle nostre città esasperate in attesa del verdetto di sovraffollati tribunali.
Per vincere occorre mettere in sicurezza l’Italia, il che significa dare a esercito e forze dell’ordine almeno gli stessi armamenti ed equipaggiamenti dei terroristi. Non ci vuole una scienza per capirlo, ci può arrivare anche il ministro Alfano. Per vincere contro il terrorismo è necessario mettere in rete le informazioni tre le intelligence della comunità internazionale. Non è accettabile avere una divisione di servizi segreti nazionali di fronte ad una minaccia mondiale che utilizza gli strumenti più sofisticati di comunicazione.
I terroristi hanno moderni kalashnikov, i nostri agenti hanno pistole a 15 colpi. Hanno giubotti antiproiettile di ultima generazione, quei pochi dei nostri che li indossano li hanno scaduti, usano caschi stile marines e i nostri uomini in divisa sono costretti al berretto semplice, pena sanzioni disciplinari, hanno tecnologie high level e i nostri girano con i ponti radio mentre vengono chiusi i presidi di polizia postale, viaggiano in aereo e nelle nostre volanti manca la benzina, gli stipendi sono da fame, commissariati e caserme cadono a pezzi. Loro possono sparare e uccidere ragazzi innocenti, i nostri poliziotti e carabinieri finiscono davanti a un giudice per uno schiaffo, a causa di una società buonista, cioè apparentemente buona ma realmente perfida, che si nutre solo di ipocrisia, immagine e propaganda fatte sulla pelle dei servitori dello stato.
Se la Francia è in guerra sono in guerra l’Europa e l’Italia, come ammonisce l’art. 42.7 del Trattato dell’Unione. Questa orribile pagina di sangue e dolore può però dare vita a un nuovo inizio, come capita alle storie più belle il cui finale deriva da enormi sciagure.
Il Governo chiede oggi unità di fronte all’emergenza terrorismo.
Si rafforzino giustizia, forze dell’ordine, forze armate, intelligence, diplomazia, cooperazione, si rimandino indietro i migranti che non hanno ottenuto lo status di profughi e quelli su cui non abbiamo informazioni sufficienti a garanzia della nostra sicurezza e noi saremo al nostro posto, come sempre in prima linea a difesa dell’Italia e dell’Europa, per vincere quella “terza guerra mondiale a pezzettini” così chiamata da Papa Francesco.
Per farlo non abbiamo bisogno che sia cosa facile, abbiamo bisogno che ne valga la pena.
* Capogruppo alla Camera dei Deputati di Fratelli d’Italia/AN
Da La Spada di Damocle n. 4 – Novembre 2015