Il Tiranno Dionisio I e la Spada di Damocle

di Luigi Tramonti

IL TIRANNO DIONISIO I DI SIRACUSA E LA SPADA DI DAMOCLE

1.Ascesa al potere di un genio politico

Nel clima della Siracusa del V secolo a.C. era quasi naturale storicamente parlando che si sviluppasse una tirannide com’era avvenuto nelle altre città greche e magnogreche. Il primo tentativo di instaurazione di una monocrazia si ebbe con Ermocrate, condottiero siracusano che tentava di recuperare il prestigio perduto negli anni precedenti. Ermocrate, di cui un giovane Dionisio poco più che ventenne era seguace, si opponeva all’inetto Diocle, che non era riuscito ad opporsi alla colonizzazione cartaginese dell’isola, finendo con l’assistere, immobile, alla distruzione di Selinunte, Himera, e l’odierna Agrigento. Il tentativo di colpo di stato di Ermocrate fallì, e portò all’esilio anche Dionisio, che però, con l’aiuto del padre adottivo, un aristocratico influente, riuscì ad aggirare la condanna e tornare un estraneo agli occhi della cittadinanza.

Con la presa di Gela da parte del condottiero punico Imilcone II risultò chiaro a tutti i siracusani che se non volevano essere annientati militarmente, passati a fil di spada o ridotti in schiavitù avevano bisogno di un vero capo, un leader forte e carismatico che fosse in grado di condurre l’esercito della polis siciliana contro quello cartaginese e sbaragliarlo, per poi saper cogliere i frutti della vittoria.

Dionisio fece leva sul malcontento popolare nei confronti dei generali sconfitti ed inetti, addosaando loro tutta la responsabilità della situazione in cui versava la città. Con veementi orazioni si guadagnò il favore sia delle masse più povere che del consiglio di Siracusa, sempre in cerca di maggiori poteri a scapito dell’aristocrazia militare che deteneva , a pare di Dionisio ingiustamente, il potere nella polis. Con i suoi demagogici discorsi rese questi personaggi invisi al popolino ed offrì al consiglio l’occasione per liberarsene; la vecchia classe dirigente siracusana venne quindi epurata e i generali giustiziati. Dionisio, a questo punto, si dimostrò coerente alla propria idea di far scegliere i comandanti al consiglio in base al merito e non in base alla famiglia e, venendo nominato legalmente Polemarco (capo militare della città), prese come colleghi i migliori tra i suoi alleati e collaboratori.

Il primo atto di Dionisio in qualità di Polemarco fu mettere fine all’inazione ed inviare l’esercito siracusano in aiuto alla guarnigione cittadina di Gela per spezzare l’assedio punico di Imilcone. Dopo la strabiliante vittoria delle forze siciliane (circa 406/5 a.C.) Dionisio diede l’ordine di giustiziare tutti i ricchi della polis e dividere i loro averi tra i cittadini, ingraziandosi così il Demos di Gela che aveva ormai perso la fiducia nei propri uomini politici, divenendo così l’uomo politico più popolare anche nella città straniera.

Dionisio tuttavia era ben consapevole che in qualità di Polemarco subordinato alla convivenza con i colleghi non avrebbe potuto prendere tutte le necessarie alla vittoria sui cartaginesi, ecco quindi che, presentando questa come la causa principale del suo gesto, si dimise dalla carica di Polemarco. Ma agli occhi del Demos di Siracusa Dionisio era ormai indispensabile e per questo venne nominato dall’assemblea Strategos Autokrator, comandante con pieni poteri.

La sua volontà ferrea lo spingeva però a mirare ancora più in alto, al potere assoluto, alla Tirannide, ma per questo gli servivano soldati fedeli, e per avere dei soldati fedeli gli serviva molto denaro. Il denaro gli venne da Filisto di Siracusa, uomo ricco e nobile che sarà suo sostenitore per tutta la vita. Oltre all’hetairia (esercito privato) gli era dato di tenere, per la sua carica politica, 1000 guardie personali che lo sostennero enormemente nell’instaurazione della Tirannide.

Diodoro Siculo, storiografo greco, racconta così l’episodio:

«Dionisio […] dunque dette ordine a tutti gli uomini validi fino ai quaranta anni di portarsi a Leontinoi in assetto di guerra e forniti di provviste per trenta giorni. Quella città era allora una piazzaforte di Siracusa, piena di profughi e di forestieri: Dionisio contava sul fatto che costoro si sarebbero schierati dalla sua parte, desiderosi di un cambiamento politico, e che la maggioranza dei Siracusani non sarebbe venuta a Leontinoi. Ad ogni buon modo acquartierato di notte in campagna, simulò un tentativo di cospirazione ai suoi danni, facendo sollevare clamore e confusione dai suoi domestici; dopodiché si rifugiò sull’acropoli, dove trascorse la notte tenendo fuochi accesi e facendosi raggiungere dai soldati più fidati. Appena giorno, concentrata a Leontinoi la massa popolare, si ingegnò a dimostrare l’ipotesi della congiura, e così persuase la folla ad assegnargli una guardia di seicento soldati, da scegliere secondo la sua discrezione.» (Diodoro Siculo, Biblioteca historica, XIII, 95)

Forte di questa formidabile arma politica e militare si dichiarò apertamente Tiranno e fece giustiziare i suoi ultimi oppositori in seno all’assemblea, Dafneo e Demarco.

2.Le guerre e il sogno egemonico di Dionisio

Nello stesso anno della proclamazione della Tirannide a Siracusa Dionisio, con la terza guerra greco-punica in corso, nel 406/5 a.C, marcia contro i cartaginesi accampati a Gela con un esercito di trentamila uomini con l’aggiunta degli alleati italioti. Si trattò della prima vera decisione avventata di un calcolatore straordinario quale era il Tiranno: probabilmente con la mente obnubilata dallo strabiliante successo politico in patria decise di dare ai suoi sostenitori un’ulteriore prova di forza, attaccando forze straniere d’invasione immensamente superiori alle sue e risultandone palesemente sconfitto. Non fece poi altro che accettare la pace propostagli da Imilcone, dove lui conservava sì i territori siracusani e il controllo sulla polis ma rinunciava altresì ad ogni pretesa sui territori occupati dal condottiero punico.

Dopo questa disfatta i cittadini persero fiducia nel Tiranno e, nel 405 a.C., i Cavalieri, coadiuvati da Messeni e Reggini e comandati dal corinzio Nicotele sfidarono il potere centrale. Dionisio si sentiva ormai spacciato ma all’ultimo momento ricevette dalla Campania i rinforzi sperati e le forze ribelli si sciolsero come neve al sole, lasciando solo Nicotele con i suoi cavalieri a fronteggiare l’esercito siracusano presso Città Vecchia. Dionisio decise tuttavia di perdonare i ribelli e reintegrarli tra i cittadini della città dimostrando una clemenza che risultò essere un’accorta mossa politica.

Nel 403/2 a.C. si assistette a una nuova ondata espansionistica di Siracusa. Il Tiranno puntò su Leontinoi, ma trovandola ben difesa prese prima Catania e Nasso, inducendo la polis rimasta indipendente a capitolare vedendosi circondata dai domini della Tirannide dionisiana.

Nel frattempo, parallelamente alla parabola ascendente di Siracusa i Cartaginesi cominciavano a perdere influenza a causa del declino della famiglia di condottieri che li guidava, i Magonidi. Questo venne giudicato da Dionisio il momento propizio per attaccare. Nel 398 a.C. Dionisio marciò su Mozia e con una cruenta battaglia e un violento assedio la espugnò e la annesse ai propri territori.

Nel 397 a.C. Il sufeta Imilcone II riconquistò con centomila libici i territori persi ma gli alleati di Siracusa intervennero prontamente ricacciandoli in mare e riportando i domini di Dionisio a quelli che erano stati dopo la conquista della Sicilia.

Nel 395 a.C. Atene, Sparta e Corinto, nel contesto della Guerra del Peloponneso, provarono a conquistare il Tiranno alla propria causa, ma egli, con grande lungimiranza politica, capì che schierarsi con una qualsiasi città della Grecia continentale gli avrebbe inimicato le altre e gli avrebbe precluso alleanze quando, dopo un’eventuale sbarco cartaginese, ne avrebbe avuto estremo bisogno. Nel 390/89 a.C. Poi Dionisio marciò contro le città che stavano cedendo alle lusinghe del nuovo sufeta cartaginese Magone, grazie al quale la potenza punica stava rivedendo la luce. Reggio venne messa a ferro e fuoco mentre Caulonia e Ipponio vennero rase al suolo e gli abitanti passati a fil di spada o ridotti in schiavitù.

In questo periodo di supremazia sull’Isola Dionisio si dedicò al proprio sogno egemonico e cominciò a realizzare un monopolio commerciale e coloniale sul mar Adriatico. I Siracusani fondano Ankon (Ancona), Adria, sulla costa dalmata invece fondano Issa (Lissa), Dimos (Lesina) e Pharos (Civitavecchia di Lesina); grazie a questo colonialismo intenso superarono il potere commerciale degli Etruschi e riuscirono a stipulare trattati con i Galli, reduci dal saccheggio di Roma.

L’ultima stagione della vita del Tiranno coincise con la quarta guerra greco-punica, dal 383 al 367 a.C. Infatti Dionisio combattè ininterrottamente contro i Cartaginesi: nella battaglia di Cabala Dionisio trionfò e uccise il sufeta Magone, nella battaglia di Monte Kronio invece i Siracusani vennero sconfitti. Nell’Inverno del 367 a.C. Dionisio morì, secondo la versione più plausibile, quella di Pompeo Trogo, assassinato dai suoi stessi cortigiani spaventati dai sogni imperialisti del Tiranno.

3.La Spada di Damocle

Cicerone, nelle sue “Tusculanae disputationes”, ci tramanda un singolare quanto interessante aneddoto riguardo al Tiranno e a un suo cortigiano: Damocle. Damocle, membro della corte di Siracusa in uno dei suoi rari momenti di pace durante la Tirannide, partecipando ad un opulento banchetto dato a palazzo da Dionisio I ne ammira la ricchezza ed esprime la sua ammirazione di quel ricco stile di vita, rimpiangendo di non essere un uomo potente a sua volta.

Dionisio dunque, avendo sentito i mormorii del cortigiano, gli propone di prendere il suo posto per un giorno così da poter assaporare interamente i piaceri derivanti dall’essere un uomo di tale levatura. Damocle chiaramente accetta ed inizia a toccare con mano i privilegi derivanti dalla sua nuova, seppur temporanea, posizione sociale. Solo al termine del banchetto serale tuttavia si accorge della spada sopesa la sua testa e sostenuta solo da un esile crine di cavallo, simbolo sì dei pericoli e delle responsabilità che gravano sulle spalle di un governante ma anche e soprattutto elemento scatenante del buon governo, in quanto unico ostacolo che impedisce la degenerazione del potente nei piaceri e nelle gozzoviglie.

La Spada di Damocle diventa quindi la metafora del freno da porre a uomini facilmente corruttibili da piaceri materiali e da una vita frivola e mondana, un freno che il saggio e lungimirante Dionisio non esita a rendere materiale per insegnare a tutta la corte siracusana, tramite lo scellerato Damocle, la lezione sulla buona amministrazione del potere, austera e responsabile. Per questo motivo abbiamo scelto di assegnare questo nome alla nostra pubblicazione, nella speranza che possa, anche se in modo brusco e poco cortese, qualcuno ancora assopito e assuefatto alla vita di corte che ha caratterizzato l’Italia degli ultimi anni.

dalla Spada di Damocle – Giugno 2016

 

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