di Marika Poletti
Ecco l’atavico quesito, che risente del sapore di revanscismo democristiano: per una Nazione risulterebbe essere peggiore un politico incapace od uno ladro?
Di fronte a questa domanda, personalmente, mi sono sempre chiesta la ragione dell’opzione, dando per scontato che l’onestà dovesse essere una conditio sine qua non per poter accedere alle cariche pubbliche ma, a ben guardare, uguale considerazione dovrebbe essere rivolta nei confronti delle competenze. La risposta più pragmatica che invece si ottiene mediamente è che un politico ladro saprà mandare avanti la baracca, anche solo per mantenere le proprie rendite di posizione, mentre l’incapace è più dannoso perché manderà alle ortiche qualunque cosa dovesse toccare. Una sorta di Re Mida in fase terminale.
Le competenze, si sa, sono però frutto di formazione ed esperienza sul campo, in un’ascesa di ruoli direttamente connesse al livello di responsabilità assunto.
A scapito di tutto questo, invece, assistiamo da oltre dieci anni ad un attacco incondizionato nei confronti della politica con l’arma della lotta alla casta. Si potrebbe obiettare che la prima vera rivolta in questi termini fu nel ’92, rappresentata appieno dal tintinnio delle monetine che rimbalzarono sulle auto dinnanzi all’hotel Raphaël. In qualunque modo la si veda, però, i vari moderni Fiorito –in arte Batman- non sono nemmeno lontanamente avvicinabili a Bettino Craxi ed il giustizialismo di allora in tanta parte era eterodiretto per spazzare via interi decenni di politica italiana ed il loro disegno per il futuro.
L’antipolitica di oggi, per assurdità della storia, trova le radici proprio da quel che nel ’92 nacque: distruzione dei partiti tradizionali e della selezione della classe dirigente, devastazione di cui ancora oggi soffriamo le conseguenze. La politica da casting ha annegato tre generazioni: quella degli attuali 50/60enni che hanno subìto il cambiamento di rotta e non si sono dimostrati all’altezza di tenere ferma la barra, della giovane classe dirigente attuale –i 30/40enni- che non hanno avuto una scuola di militanza e formazione e, infine, i giovanissimi di oggi, veri e propri orfani della politica avendo come diretti referenti schiere di uomini e donne a loro volta figli di nessuno.
Di fronte a tutto questo, i cantori dell’anti-casta estendono in modo scientifico il malcontento, non più giustamente incentrato su quella parte dell’establishment corrotta ed incapace ma investendo tutta la politica, quasi come la corruzione di alcuni soggetti possa essere considerata un virus contagioso che ha attecchito nelle viscere di chiunque ricopra incarichi pubblici.
Il vento della voglia di società civile, di specialisti e tecnici, però, si è infranto contro la realtà delle cose. Il primo ad approfittare del cambiamento fu Berlusconi che, creato in una manciata di mesi un partito da una costa di Publitalia, riuscì a schiacciare prima Occhetto per poi restare vittima di Prodi e della sua squadra di tecnici, categoria la cui inadeguatezza si è ulteriormente dimostrata tale con il Governo Monti. Anche Renzi, politico fatto e finito, iniziò la sua ascesa giocando la carta della società civile i cui principali attori furono trascinati a sfilare sul palco delle varie Leopolde.
Gli ultimi a rivendicare l’orgoglio dell’uomo qualunque sono stati i grillini, strategia leggermente adeguata al nuovo contesto sociale, non più egemonizzato dalla televisione ma dalle lande del web. In questo modo, sotto la regia del comico genovese e di Casaleggio, la selezione per entrare in Parlamento e per candidare alle più alte cariche istituzionali locali cambiano diametralmente: anni di formazione e militanza fanno posto ad un account ed un click di qualche decina di profili social che votano on line degli sconosciuti.
Finché parliamo del Parlamento, il danno è misurato: da troppe legislature ciò che esce dalle Camere è unicamente frutto delle volontà del Governo. A conti fatti vi è maggior potere decisionale in un’assemblea di condominio che a Montecitorio e Palazzo Madama messi assieme… quantomeno la prima dispone liberamente del cambio delle lampadine dei garage e dell’installazione di nuove fioriere nell’ingresso del palazzo. Il problema si acuisce drammaticamente quando questo manipolo di provveduti prendono le redini di una città e si devono confrontare con il saper fare.
Antefatto (per sgombrare il panorama da scontate critiche): se i cittadini hanno scelto di mettere la propria amministrazione comunale nelle mani di inesperti allo sbaraglio significa che i precedenti primi cittadini hanno dato una pessima prova di sé. Ciò non toglie, però, che senza alcuna formazione, totalmente privi di classe dirigente e senza piani concreti e chiari, gli esponenti del qualunquismo moderno sono alla disperata ricerca di tecnici che possano far fronte all’amministrazione, fino ad essere in totale balia di questi ultimi con due ovvie conseguenze: devono attingere al patrimonio umano di coloro che avevano promesso di spazzare via e si ritrovano ad essere permeabili a qualunque pescecane, colluso e corrotto.
Vi è di più: il partito/non partito disegnato dai grillini commissaria in toto la volontà popolare come nemmeno il comunismo sovietico era riuscito a fare. Basti pensare al Campidoglio, dove il Sindaco è di fatto impossibilitato a prendere una scelta che vada al di fuori da quanto stabilito dal Movimento, seppur sotto forma di “direttorio”, vincolo ulteriormente rinforzato dal contratto sottoscritto dalla Raggi in cui si impegna a seguire le volontà dei vertici dei Cinquestelle, con tanto di penale di 150 mila € in caso di mancato rispetto di quanto stipulato. Senza contare che, secondo quanto disposto dalla legge del ’93 che regola l’elezione diretta del Sindaco, quest’ultimo è legato al patto con i suoi cittadini e non con altri organismi esterni. I romani hanno messo la loro città nelle mani di un Sindaco e non della Senatrice Taverna o del Di Maio, meglio conosciuto come il piccolo webmaster che non sa leggere una mail.
L’antipolitica, in altre parole, non si batte cavalcandola, per altro in ritardo, ma ponendo al centro la sacralità della politica fatta bene, elaborando soluzioni concrete, non incentrandosi su di un tema specifico ma investendo l’orizzonte completo e disegnando un modello sociale a medio e lungo periodo. Ovviamente tutto ciò non può trovare altra base rispetto alla credibilità personale di coloro che di questo piano si fanno attori.
Ci si deve battere con gli strumenti della politica e di questo la destra dovrebbe essere consapevole più di altri in quanto ha una storia, a differenza dei nuovi avventori delle istituzioni, ed è la sola forza in assoluto che si pone come punto di partenza e contemporaneamente come finalità la propria terra. Proprio per questo motivo, la vera destra è portatrice delle uniche soluzioni in grado di curare i mali che stanno uccidendo la nostra Nazione.
Il senso di responsabilità dovrebbe imporre a tutti coloro che di questo universo fanno parte di concentrarsi sulla propria crescita e formazione per farsi trovare pronti quando dell’Italia dovranno farsi carico.
Da La Spada di Damocle di settembre 2016