Questioni di vita o di morte

di Guerrino Soini

Quando due persone, di sesso diverso ed in periodo fertile, si uniscono in un rapporto sessuale non protetto può accadere che diano origine ad una nuova vita.

Quello che mi vorrei chiedere oggi, provando a scendere un po’ negli aspetti etici della vicenda, è cosa rappresenta per la coppia questo incontro di corpi, questo scambio di fluidi e, soprattutto, in che modo sono implicati nelle conseguenze che ciò può produrre.

Generalmente una gravidanza corona il sogno di una coppia: questa vede, nell’arrivo di un figlio, il coronamento di un sogno, la realizzazione ultima della stessa unione. Capita, però che questo fatto sia sgradito, inaspettato o, peggio, gravato da malformazioni quando non frutto di violenza fisica: in questi frangenti si realizza la netta divisione tra l’etica che vorrebbe la tutela della vita e l’azione dell’uomo che, attraverso la legislazione, permette l’interruzione della gravidanza in alcune condizioni. Questa interruzione è consentita in modi diversi nei vari Paesi laddove la stessa non è vietata (per la verità in pochissimi Paesi).

Nel mondo occidentale l’interruzione di gravidanza è consentita su semplice richiesta della madre (il padre in queste cose è generalmente escluso quasi come se il possibile figlio non fosse anche suo) ed è in questo contesto che vorrei provare a pensare un po’ alle situazioni che generano questa richiesta. In Italia l’introduzione della legge 194, nel 1978, (del tutto disattesa nella parte che cerca di salvaguardare la vita) ha cercato di disciplinare questo delicato argomento introducendo limiti e tempi per l’esercizio del diritto (vero, presunto o semplicemente regolato) della donna a liberarsi del feto che porta in grembo.

A questo punto sorge la mia domanda “Che diritto ha la donna di interrompere la gravidanza”? E se questo diritto lo ha “in quali occasioni è realizzabile?“. Capirete che non sono domande da due soldi e vorrei cercare di dare le mie risposte rimanendo, senza per questo pretendere di imporre quel che penso a nessuno, al di fuori dei dettami dei vari culti religiosi (pur essendo io un tiepido Cristiano Cattolico).

Cominciamo dal principio: uno spermatozoo, uno tra qualche miliardo, incontra l’ovulo femminile, lo penetra e da quel preciso istante le due entità distinte si fondono in un’unica realtà che assomma i rispettivi codici genetici generando, circa 24 ore dopo, una cellula, provvista di DNA, che non è assimilabile ad altre; è insomma un “individuo” esclusivo, unico, irripetibile. Accidenti, ma se è un individuo, avrà anche un suo status giuridico, avrà dei diritti, qualcuno si dovrà preoccupare della sua tutela essendo lo stesso la parte più debole in causa. No no, ci si preoccupa prima di tutto del diritto materno di accettarlo o meno (il padre come detto prima non conta nulla), di vedere se lo stesso non possa presentare un qualche rischio per la vita della madre, ci si preoccupa della sua integrità fisica in modo da non creare un problema per la famiglia (e di conseguenza per la società).  Ci si preoccupa di tutto fuorché di lui, dell’embrione, di lui ci si può liberare con estrema facilità, senza che nessuno possa profferir parola; ma ragionando un po’ io non posso eliminare il primo che incontro per strada solo perché non mi piace o perché non lo voglio vedere, eppure anche lui è un individuo, al pari del feto che ha appena cominciato a dividere le sue cellule. Sorge, allora, un problema cui il Legislatore non ha ancora dato risposta: definire lo status giuridico dell’embrione. È chiaro che lo stesso, in termini economici non conta nulla, non consuma, non ha preferenze politiche non può concedere favori o pagare bustarelle; l’unico interesse che può rivestire per il capitalismo moderno è la sua distruzione, giacché unico fattore economico presente nel suo esistere. Ne nasce, allora, che tutta la legislazione volge verso la donna che, unica titolare dei diritti riguardanti il feto, può generare ricchezza sia proseguendo la gravidanza, con acquisti di prodotti e tutto quanto consegue, sia interrompendola rivolgendosi a medici e cliniche abortiste, intraprendendo terapie di supporto e tutto quanto a ciò correlato.

Cerchiamo, allora, di dare uno sguardo come interviene la Legge in termini di diritto alla vita (mi limito alla situazione italiana poiché in altre parti del mondo è consentito l’aborto addirittura anche a parto in corso).

A concepimento avvenuto, e secondo la legge 194 (IVG), il nascituro riceve la tutela del diritto alla vita solo dopo il quinto mese di gravidanza, nei primi 90 giorni la madre può decidere di non proseguire la gravidanza, per la verità la legge metterebbe qualche paletto ma questo è regolarmente saltato e l’aborto è praticato quasi alla stregua di un anticoncezionale. Nel quarto e quinto mese l’interruzione di gravidanza è consentita solo per motivi terapeutici. Questa la situazione senza voler entrare nei motivi e nelle situazioni psicologiche di chi decide di abortire ma limitandosi al solo aspetto giuridico.

Abbiamo detto, dunque, che il feto a 24 ore dal concepimento è già un “individuo” provvisto di DNA, abbiamo visto altresì che da qui al quinto mese di gravidanza è data dalla Legge, la possibilità alla donna, e discrezionalità al medico, di “eliminare” questo individuo. E’ evidente la forte discrasia che emerge da questa pur banale considerazione; la parte forte, il mondo adulto per intenderci, può “sopprimere” la parte debole, il feto, in virtù di un interesse, di una volontà o di un bisogno che nulla hanno a che vedere con il diritto dello stesso feto alla vita. Tale incongruenza appare ancora più evidente se si considera come tutto il resto dell’Ordinamento Giuridico tenda, giustamente, a salvaguardare la parte più debole rispetto a quella più forte.

La soppressione della vita è una cosa enorme, un delitto, un sopruso inaccettabile ai miei occhi, e questo è un sentimento totalmente avulso dalle mie posizioni religiose. Non c’entra nulla, infatti, quello in cui si crede se si accetta che un debole, chiunque esso sia, possa essere eliminato perché scomodo o per qualunque altra ragione: se la legge permette questo è una legge sbagliata, che viola palesemente l’etica stessa della vita e fa della sopraffazione un “modus vivendi” consentito come regola di vita.

Ci saranno senz’altro mille ragioni per le quali una donna, o quando va bene una coppia, decidano di abortire ma, qualunque siano queste ragioni, per quanto mi riguarda, il sopprimere una vita rimane un omicidio e, sempre per quanto mi riguarda, la vita inizia quando l’ovocita e lo spermatozoo uniti divengono individuo: ne’più ne’meno.

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