di Marco I.
Nei primi giorni di febbraio, a Bologna presso la biblioteca di Via Zamboni, è successa una cosa, a mio parere, altamente sconcertante, balzata ovviamente agli onori delle cronache: un gruppo di studenti di uno dei vari collettivi studenteschi della città, legati molto spesso a frange estremiste della sinistra, hanno prima occupato la biblioteca di cui sopra, facente parte del patrimonio dell’Ateneo bolognese, e poi intrapreso una protesta violenta di due giorni con le forze dell’ordine, utilizzando come armi contro Polizia e Carabinieri in assetto antisommossa sedie, armadi e attaccapanni della struttura, che in pieno periodo di esami universitari è stata di conseguenza chiusa per varie giornate per il suo ripristino.
Il casus belli è l’installazione di tornelli all’ingresso della biblioteca, azione svolta con il doppio fine di tutelare la sicurezza degli studenti e di conseguenza permettere l’estensione degli orari di apertura fino a mezzanotte; infatti, un problema molto serio che si era verificato, era la presenza di spacciatori e tossicodipendenti all’interno della struttura: più di una volta, il personale aveva trovato delle siringhe e tutto il necessario per la preparazione della dose nei bagni della biblioteca. A tal proposito, il Magnifico Rettore dell’Ateneo, prof. Francesco Ubertini, ha affermato che “la situazione al 36 è difficile, il personale è spaventato, ci sono grosse difficoltà a tenere aperto, c’è chi ha paura e gli studenti non si sentono
di frequentare la biblioteca in queste condizioni”: proprio per queste ragioni, il Rettorato ha deciso di installare questi tornelli, che permettono l’ingresso all’interno della struttura solo agli studenti dotati di badge universitario; invero, il novero dei possibili utilizzatori è molto più ampio, in quanto l’Università ha precisato che chiunque può usufruire della biblioteca presentando e depositando all’ingresso un documento di identità: sostanzialmente, si era impedito a spacciatori, tossicodipendenti e prostitute di entrare all’interno di una struttura pubblica e tutelare al contempo studenti e personale, scelta che mi sento di approvare a pieni voti.
Riempiendosi la bocca di parole che molto probabilmente nemmeno conoscono, i componenti del CUA, Collettivo Universitario Autonomo, nei giorni fra l’8 ed il 10 di febbraio, si recano alla biblioteca di Via Zamboni ed al grido di un millantato diritto allo studio si permettono prima di smontare i tornelli e poi di occupare, o come hanno loro affermato autogestire, la struttura: ovviamente, l’Ateneo si attiva e chiede l’intervento delle Forze dell’Ordine, che si trovano, appena entrati nella biblioteca, a fronteggiare una guerriglia portata avanti da questi soggetti che all’apparenza si definiscono ogni volta pacifisti, salvo poi trovarsi in ogni corteo, sia esso contro il Governo, l’Europa o Salvini, armati di tutto punto con spranghe, caschi integrali e pietre.
Dopo questa breve introduzione fattuale, è doveroso fare qualche riflessione in merito a questi avvenimenti, in particolare riguardo al diritto allo studio; partendo dal dato normativo, la nostra Costituzione dedica l’articolo 34 a ciò, ma poi sono presenti tutta una serie di norme successive che specificano questo diritto, attribuendo per esempio permessi studio ai lavora tori, prevedendo l’istituzione di borse di studio pubbliche e così via: a questo punto, mi verrebbe da domandare ai componenti del CUA dove risieda, secondo loro, la violazione del diritto allo studio. A mio parere, al contrario, l’Ateneo in questo modo non solo ha rispettato questo diritto, ma lo ha ampliato molto, creando le condizioni per gli studenti bolognesi di studiare senza avere la preoccupazione di trovarsi un tossicodipendente nel bagno o uno spacciatore in qualche zona non presidiata della biblioteca, problematiche che sono comuni a molte biblioteche e sedi universitarie italiane, non ultima Trento, dove l’Ateneo ha infatti installato dei lettori badge per l’utilizzo delle toilette nel Dipartimento di Lettere e Filosofia e nella Biblioteca di via Verdi.
Sorge quindi spontaneo l’interrogativo circa le attività di questi collettivi studenteschi: il mio timore è che agiscano non tanto per ideologie e pensieri ben ponderati, quanto invece per il mero scopo di creare tensione e scompiglio nelle città, a danno ovviamente dei soggetti, in questo caso gli studenti, che più dovrebbero e vorrebbero tutelare, almeno a parole. [In tal proposito, non si può non ricordare come spesso le Istituzioni a parole condannino questi atteggiamenti e poi, nella pratica, avallino o comunque si disinteressino di ciò: esempio lampante, conosciuto sicuramente al lettore trentino, è l’aula occupata presso il Dipartimento di Sociologia a Trento da collettivi collegati ad ambienti anarchici, contro i quali istituzioni universitarie e provinciali poco fanno.]
Concludo questo contributo con l’invito a firmare la petizione di alcuni studenti bolognesi che immediatamente dopo questi fati si sono dissociati da queste attività criminali e con le parole che uno di questi ragazzi ha allegato alla sua firma: “firmo perché il sistema bibliotecario di Bologna, di cui mi servo di frequente, è bello, ben organizzato e consente a tutti di accedere alle immense risorse culturali presenti in questa città. I militanti del CUA, con i loro deliri di pretesa autonomia, non sanno nemmeno cosa significhi la parola cultura.”.