Il fuoco della Tradizione

di Marika Poletti

La tradizione è la custodia del fuoco, non l’adorazione della cenere.” (Gustav Mahler)

Poche immagini riescono a spiegare meglio questo concetto più delle parole appena lette. Quando si parla di tradizione nel mondo moderno si aprono principalmente due filoni nell’immaginario collettivo: quello museal/folkloristico e quello dell’immobilismo. Ammuffito oggetto da esposizione per gli amanti della polvere oppure perenne riproposizione del vecchio.

Nulla di più lontano dal vero: la tradizione è “ciò che si trasmette”; non inerzia ma eredità spirituale, non confine ma regola di vita.

Per affrontare questo tema, molti sarebbero stati gli autori a cui far riferimento, attingendo soprattutto nell’enorme patrimonio che fa riferimento ai movimenti völkisch –con buona approssimazione, quello che noi potremmo chiamare “populismo” inteso sul piano delle dottrine politiche e non del giornalismo più superficiale, talmente ebbro della propria superbia ed ignoranza da trattare questa scuola di pensiero alla stregua del peggior superficialismo di maniera.

Partiamo, invece, da un punto di vista meno politico e più affine a quella che convenzionalmente risponde al nome di scienza per andare ad argomentare la tesi dell’esiziale importanza della tradizione nella vita dell’uomo.

Addirittura usciamo solo in apparenza dai confini del genere umano per servirci degli studi di un etologo, tra i più noti dell’età contemporanea: Konrad Lorenz. Al grande pubblico Lorenz è conosciuto principalmente per i suoi studi sull’imprinting, derivanti dall’analisi del comportamento animale ma coniugati successivamente alla pedagogia ed alle scienze formative. Molto interessante è anche il capitolo dei suoi studi concernenti l’attività linguistico/sintattica dell’uomo, una delle caratteristiche che ci differenziano dagli altri esseri viventi, riflessioni magistralmente riproposte in un’intervista che il scienziato ebbe a rilasciare allo scrittore Alain de Benoist.

lorenz-konradLorenz intende per “tradizione” la somma dell’attività concettuale con il pensiero sintattico che rende un’idea un qualcosa che si può trasmettere e, quindi, divenire bagaglio cumulativo di concetti e riflessioni che, da uomo a uomo, da generazione in generazione, si irradia come farebbe una candela la cui fiammella accende altre fiamme. Una volta esposta, un’idea diviene patrimonio di coloro che l’hanno compresa e fatta propria. Proprio come accade per l’eredità genetica, la tradizione unisce il gruppo sociale che in essa fa riferimento e, contemporaneamente, distanzia questa comunità dalle altre che affondano i propri convincimenti e regole di vita in un’altra matrice tradizionale.

L’etologo però lanciò, prima della sua morte, come grido di allarme un monito sulla contemporaneità: il combinato disposto dell’individualismo imperante –quindi la recisione dei vincoli interni alla propria comunità umana di riferimento, che sia essa nazionale, locale o familiare- con la “neofilia” –il gusto del nuovo fine a se stesso-, porta alla creazione di un uomo nuovo, uniformato ad un unico modello globale. Un uomo uguale in ogni parte del globo e per questo adatto a calarsi in un mercato mondiale e soggiogarsi ad esso. Un uomo non solo intercambiabile ma anche livellato in basso sino a raggiungere il livello del cosiddetto “foolproof” – a prova di idiota. Tutto diviene “a prova di idiota”, dal cellulare con i comandi vocali alla cucina casalinga, sempre più spesso invasa da buste da scongelare e riscaldare. L’uomo perde la propria specificità come dimentica i passaggi  della preparazione anche del piatto più semplice della propria terra.

Il primo valore tradizionale è da sempre stato il principio aristocratico, norma che trascende la conta delle palle dello stemma araldico di una famiglia e diviene, in essenza, l’indomita indole alla valorizzazione delle proprie specifiche eccellenze. Ciascuno di noi, al netto delle abilità apprese, ha una propria inclinazione naturale: saper valorizzare quella permette ad un popolo di strutturarsi in modo organico e, quindi, di crescere florido. Detta in altri termini, i momenti di massima esaltazione della civiltà umana hanno affondato le proprie radici nella disuguaglianza tra gli uomini uniti, però, da un comune solco valoriale e culturale. Una comunità di intenti che permetteva di relazionarsi in modo proficuo con altre civiltà sapendo soggiogarle, soccombere o tendere con loro degli accordi ma cercando di muoversi sempre e comunque nell’interesse della propria comunità.

L’uomo moderno, emancipato dalla propria tradizione, è libero anche dai criteri di giusto e sbagliato, buono e cattivo: dicotomie classiche che vengono annientate anche nel percorso formativo dei nostri bambini (del passaggio dal mito alle favole pedagogicamente orientate abbiamo già parlato…).

“Uscire dalla tradizione significa uscire dalla vita, abbandonare i riti, alterare o violare le leggi, confondere le caste, significa retrocedere dal cosmos al caos.” scrisse Julius Evola e proprio questo è accaduto: ci siamo spogliati di ogni riferimento culturale attorno a cui può nascere una differenza con i popoli della parte opposta del pianeta terra e sovvertiamo le regole del vivere umano.

Non incentriamo più l’esistenza sul “trans”/“dare” –dare oltre, trasmettere-, termini come “esempio” ed “esperienza” hanno perso il loro significato originario. Nel mondo tradizionale, la crescita era un processo fatto di singoli momenti iniziatici per affrontare i quali l’infante –che poi, via via, diveniva giovane ed uomo- doveva affrontare, con sforzo e sana frustrazione, delle prove prendendo a modello i membri più adulti della comunità. Iniziazione, infatti, non significa altro che “porta d’ingresso” e sottende l’inizio di un cambiamento posto in essere per raggiungere i livelli più alti del proprio gruppo sociale. Esattamente l’opposto di ciò che invece accade ora, dove l’infante quando non addirittura il neonato detta le regole ed attorno alla necessità di non creargli frustrazione viene modellata la vita: il bambino non viene lasciato piangere perché gli si anticipano i desideri, i genitori non devono sgridare, ogni capriccio assurge a livello di bisogno esistenziale, la scuola non deve bocciare e gli anziani della comunità devono subìre la mancanza di rispetto da parte di questi mocciosi perché “sono bambini”.

Piccoli senza la possibilità di muovere imprinting, come potrebbe dire Lorenz, creature abbandonate senza comprendere il filo che le lega ad un qualcosa di più grande.

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