00-99: il Millenial bug

di Elisabetta Sarzi

Millenials. Forse avete già sentito questo termine e chi è pratico di social lo conosce fin troppo bene, ma diamogli pure una definizione: anche chiamata Net Generation o Generazione Y, si tratta di una categoria umana in cui i sociologi fanno rientrare tutti i nati fra il 1980 e fine anni ’90/2000. Una generazione di transizione tra quella che viene chiamata Generazione X (inserita tra gli anni ’60 e il 1980, figlia di quella dei Baby Boomers del secondo dopoguerra) e la Generazione Z, che ancora non conosciamo bene e che sta imparando ora a leggere, scrivere e far di conto, anche se molti ritengono che abbia dei confini molto sfumati con il raggruppamento precedente.

Lo so, molti storceranno il naso (io per prima, nata nel 1990): quale correlazione potrà mai esserci tra chi ha vissuto gli anni ’80 e chi oggi è ancora minorenne e con i “risvoltini” alle caviglie? A ben guardare, un raggruppamento generazionale di quasi 20 anni è molto ampio e rischia di contenere troppe differenze al suo interno, ma è normale che sia così: ogni decennio ha la sua peculiarità, ad essere minuziosi anche ogni quinquennio.

Ma cosa ci accomuna? Iniziamo dal mondo in cui siamo inseriti. Abbiamo assistito alla nascita di Internet e con esso siamo cresciuti, esattamente come i nostri genitori hanno visto la nascita e lo sviluppo della televisione, ed abbiamo una percezione tutta nostra del mondo che ci circonda e dell’interazione con esso, apprendendo nuovi codici comunicativi che la generazione precedente fatica a comprendere appieno. Il mondo ci appare un po’ più piccolo, forse pure stretto, perché possiamo portarlo in tasca ed accedervi quando vogliamo.

Ma quando si è immersi per primi in un contesto così eterogeneo, sconosciuto e variabile non si sa bene dove mettere i piedi: a differenza dei Baby Boomers prima e degli X poi, abbiamo assistito al declino totale del boom economico entrando nell’incertezza e nella crisi, con la conseguente difficoltà di costruire le nostre vite. È bene tenere anche conto del fatto che siamo eredi di una generazione insofferente e ribelle a quella dei propri genitori: «La sola analisi demografica mostra come quella “X” sia una generazione se non proprio schiacciata, quantomeno cresciuta all’ombra dei Baby Boomers la quale, essendo numericamente più consistente, ha finito per imporre – grazie anche a un significativo aumento della longevità – la propria visione del mondo e la propria centralità negli assetti di potere. La Generazione X, insomma, sarebbe una generazione per certi versi ‘invisibile’, priva di un’identità sociale e culturale definita e costantemente esposta al rischio di subalternità rispetto alla precedente.[1]»

Siamo in un limbo, tra gli ultimi strascichi della certezza occupazionale-famigliare-economica-etnica del boom, la crisi identitaria degli X ed il radicale mutamento della società mondiale che vivremo da adulti e consegneremo ai nostri figli.

 

Ma quindi chi siamo esattamente? Per rispondermi ho fatto qualche ricerca e mi sono imbattuta in un interessante progetto chiamato Generation What (clicca qui per approfondire): si tratta di un sondaggio online elaborato da sociologi che vede la partecipazione di 12 Paesi europei (tra cui l’Italia, tramite Repubblica e la Rai) che cerca di fare il ritratto di un’intera generazione con quesiti a tutto campo. Si parte già dalla definizione della generazione stessa, che viene anche proposta come quesito: non sanno incasellarci, non sanno darci un nome e questo è già un indizio importante. Le domande poi si articolano in 6 aree (famiglia, amici e colleghi, percezione di sé, società e lavoro, futuro ed Europa) e 21 temi (crisi economica, immigrazione, sfera della sessualità, diseguaglianze sociali, ambizioni, paure…).

Interessante e innovativo il fatto che i risultati vengano aggregati in tempo reale durante la compilazione, così da poter fare un confronto istantaneo fra se stessi, la media nazionale e quella europea, il tutto corredato anche da approfondimenti video. Il progetto intendeva articolarsi da aprile 2016 (mese di lancio) ad ottobre come termine ultimo per la presentazione dei dati. Pur scrivendo nel marzo 2017, ho voluto compilare comunque il questionario per verificare l’affinità del mio profilo a quello medio del Millenial italiano ed europeo (e, come mi aspettavo, sono distante nella metà dei quesiti).

 

A giudicare dai risultati rilevati ad un mese dal lancio (quindi a maggio 2016), i Millenials italiani davano già un quadro abbastanza chiaro e, se vogliamo, prevedibile: le parole chiave più gettonate per definire la generazione sono state “boh”, “dell’incertezza”, “senza futuro”. Molte le similitudini e molte le differenze a livello europeo, com’è normale che sia, ma se c’è qualcosa che livella il tutto sono la confusione e la frustrazione. Più istruiti dei nostri genitori ma con meno possibilità, più connessi ma più limitati. Tendenzialmente cosmopoliti e tolleranti ma con nessun sentimento di appartenenza (se non alla razza umana), anche se i dati tedeschi e scandinavi pare mostrino ancora un certo senso di attaccamento al proprio Paese. Una percezione di qualità della vita differisce, ovviamente, tra nord e sud Europa: siamo più fiduciosi se inseriti in contesti più ricchi ed efficienti.

A livello italiano, una netta maggioranza sostiene di poter essere felice senza figli, di non voler combattere per il proprio Paese in caso di guerra (un 62% in linea con gli altri Paesi europei, ad eccezione di Scandinavia, Est Europa e Grecia), di sognare una vita all’estero, di percepire scarsa parità di genere, di concepire la sessualità in modo piuttosto libero e fluido e di non considerare importante l’appartenenza ad un credo religioso. Ma quindi qual è l’eredità culturale che la Generazione X ci sta lasciando?

A mezzanotte del 31 gennaio 1999 tutto il mondo attendeva il famoso millenium bug, fra tesi complottiste di fine mondo, crash informatici e necessità di dare un volto ad un passaggio epocale di millennio, ignorando che si sarebbe rivelato a livello umano e a scoppio ritardato negli adulti che siamo oggi: allora i computer sapevano calcolare lo scorrere degli anni con due sole cifre decimali tra 00 e 99, dando per sottinteso 1900 come anno di partenza, e con lo scoccare del 2000 non hanno saputo interpretare il passaggio. Siamo forse portatori di un “millenial” bug e non sappiamo come correggerlo?

Insomma, tutto ciò che ha delineato in modo netto la generazione della ripresa pare starci stretto. Abbiamo conosciuto di colpo un mondo diverso ma tutto questo probabilmente è arrivato troppo in fretta, non ci è stata fornita la chiave né ci siamo costruiti gli strumenti per leggerlo e gestirlo. Con un piede nel vago ricordo del boom economico e nell’inizio della crisi della morale sociale e l’altro nel vuoto in continuo cambiamento, non sappiamo come orientarci e non sappiamo a chi o cosa apparteniamo. La “ribellione” intrinseca degli X ci dice che appartenere è una parola brutta, vecchia, limitante, superata… Ma appartenenza significa identità, inizio, radici. E recidere l’identità e le radici è annientare se stessi.

Un pensiero su “00-99: il Millenial bug

  1. “Abbiamo conosciuto di colpo un mondo diverso ma tutto questo probabilmente è arrivato troppo in fretta, non ci è stata fornita la chiave né ci siamo costruiti gli strumenti per leggerlo e gestirlo.” Verissimo. Speriamo in una futuro migliore.

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