di Marco I.
Emmanuel Macron verso Marine Le Pen, En Marche verso Front National: questo è l’esito delle urne francesi, per quanto riguarda l’esito delle presidenziali; da una parte l’ex giovane rampollo del Partito Socialista Francese, da cui ha deciso di emanciparsi nell’aprile 2016 per fondare un nuovo partito slegato dalle classiche etichette di destra e sinistra, dall’altra una donna con un cognome importante, dal quale ha saputo liberarsi in modo egregio.
Emmanuel Macron, 40 anni ancora da compiere, diventa ministro dell’economia nel secondo governo Valls dopo essere stato prima ispettore delle finanze e poi banchiere di Rothschild, concludendo l’affare riguardante l’acquisizione da parte della Nestlè di una filiale del colosso farmaceutico Pfizer, stimato in 9 miliardi di euro; tutto ciò gli consente di ricevere un maxi premio che lo fa diventare milionario. Per quanto riguarda l’attività di Ministro dell’economia, ciò per cui viene più ricordato è la legge che prende il suo nome: in questo modo, il giovane Macron, strizza l’occhio ai liberali di centro-destra, andando a prevedere una serie di misure atte alla liberalizzazione del mercato; nel 2016 inizia ad allontanarsi dalle posizioni di Hollande e del governo Valls e ad aprile inizia il progetto En Marche! che cavalca posizioni liberaliste e fortemente europeiste, la cui bandiera, infatti, non manca mai nei comizi del leader francese.
Marine Le Pen, classe ‘68, leader del Front National, lo stesso partito fondato dal padre, Jean Marie, da lei stessa espulso per le posizioni troppo estreme e negazioniste: battagliera, con grinta da vendere, Le Pen ha ultimamente affermato “Sono pronta per l’Eliseo. Voglio governare la Francia. Non sopporto chi dice che non abbiamo le competenze necessarie, che siamo solo un partito di protesta”; il programma è chiaro e sembra tutt’altro che di protesta: protezionismo economico, economia a cerchi concentrici, trasporto pubblico, laicità dello Stato, nazionalismo, stato sociale, … 144 punti di programma politico che possono piacere o meno, possono essere più o meno condivisi, ma che non si meritano assolutamente l’appellativo di mere questioni di protesta.
I grandi esclusi dal ballottaggio sono François Fillon, ex primo ministro durante la seconda presidenza Sarkozy, Jean-Luc Mélenchon, candidato del Fronte di Sinistra, e Benoît Hamon, grande sconfitto, a capo del Partito Socialista, che ha raggiunto, anche ed in particolar modo a causa della pessima presidenza Hollande, appena il 6,4% dei voti.
François Fillon, dato per sicuro vincitore di queste elezioni fino al febbraio 2017, viene travolto dallo scandalo che riguarda i lavori a moglie e figli assunti come assistenti parlamentari, ed in questo modo viene messo automaticamente fuori gioco dalla competizione: una storia politica importante alle spalle, sindaco di Sablé-sur-Sarthe dal 1983 al 2001, viene eletto in Assemblea Nazionale già nel 1981 dove viene confermato senza soluzione di continuità fino al 2002, nominato prima ministro dell’istruzione con Balladur, poi ministro delle Tecnologie con Juppè, che poi lo conferma nella squadra di governo al ministero degli Affari Sociali, carica ricoperta anche nel governo Raffarin, nel 2007, infine, Sarkozy lo nomina Premier ministre. Il primo escluso dal ballottaggio, che ha comunque raccolto il 20% dei consensi, si rifà al gollismo sociale, quella branca delle ideologie del Generale de Gaulle portata avanti innanzitutto da Philippe Seguin, il cui pupillo politico fu proprio Fillon: il gollismo sociale sviluppa le tesi di de Gaulle, ancorate al protezionismo ed al nazionalismo francese, apportando i concetti di equità e giustizia, rifacendosi alla destra sociale, che in Italia è stata nella Prima Repubblica impersonata dal Movimento Sociale Italiano, la cui fiamma ritroviamo anche nel simbolo tradizionale del Front National, e che oggi viene impersonata, con molta grinta, da Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale. A questo punto, però, sorge una domanda: perché Fillon, a scrutini nemmeno conclusi, ha dato il suo supporto incondizionato per il secondo turno ad Emmanuel Macron, probabilmente il più liberalista dei candidati all’Eliseo di questa tornata elettorale?
Lo spauracchio per la bionda d’oltralpe, a quanto pare è grande: anche quelli che dovrebbero essere i naturali sostenitori degli ideali della Le Pen e della destra sociale, preferiscono convergere su un candidato senza una linea politica eccessivamente chiara, basata sul liberalismo puro; e non va di certo meglio con i sostenitori italiani: a parte Giorgia Meloni, anche lei leader al femminile del partito di destra italiano, e Matteo Salvini, il restante centrodestra si è schierato senza se e senza ma dalla parte di Fillon: sarà forse l’elemento comune delle inchieste giudiziarie a carico dei propri leader a spingere Forza Italia a sostenere Fillon e, di conseguenza, al secondo turno Macron?
Paradossalmente, sembra che al secondo turno Marine Le Pen riuscirà a fare convergere su di sé il consenso degli elettori di Melenchon, il cui programma, per molti aspetti, è lo stesso della leader del Front National: in particolar modo, il leader della sinistra d’oltralpe concordava in merito ad Europa e globalizzazione, nonché per la vicinanza alle classi operaie.
Guardando invece all’Italia, Berlusconi, dal canto suo, ha parlato di pericolo lepenista e di populismo da arginare; ha affermato che i populisti parlano e fanno vincere la sinistra, i cui valori si stentano però a trovare nelle posizioni di Macron: non credo si dica un azzardo nell’affermare che fra i due, la Le Pen è quella di sinistra, se con sinistra intendiamo l’accezione più ampia di vicinanza alle dimensioni sociali e proletarie, che il giovane francese snobba in favore della grande finanza e delle elites; sarà un caso che Marine riesce ad attirare il 37% dei consensi delle classi operaie, mentre Macron ne convince solo il 12%? L’ex Cavaliere sfrutta, ovviamente, l’occasione affermando che se le cose dovessero stare così, si rischia che alle elezioni si vada separati: si intende Forza Italia con il suo 13% da una parte, e Fratelli d’Italia, Lega Nord e gli altri partiti del polo sovranista, con circa il 20% (dati ultimo sondaggio dd. 19/04/2017 – Index Research). Qui, però, dovrebbe partire un ragionamento che, a parere di chi scrive, deve esulare dalle elezioni di 2018 e dalla possibilità di governare l’Italia nel futuro prossimo. Si devono andare ad identificare i valori comuni su cui si può basare questa coalizione (sperando che non si commetta, nuovamente, l’errore dello scioglimento di AN, andando a creare un nuovo fallimentare partito unico): Fratelli d’Italia credo sia pacifico abbia dei valori che partono da Giorgio Almirante e dalla destra sociale, rifiuta il liberalismo, si rifà alle teorie di Pound e Auriti sulla fiscalità monetaria ed è vicino anche alle posizioni delle classi sociali più disagiate; Forza Italia, dall’altra parte, è ancorata in modo estremo al liberalismo (e non potrebbe essere altrimenti con un leader milionario imprenditore) ed è composta da personaggi dalle molteplici esperienza politiche precedenti, spesso non coincidenti con i valori che ora pretende di esprimere: socialisti, comunisti, radicali…
A questo punto, mi sento di lanciare una provocazione: è meglio governare con qualcuno con il quale non si condividono punti essenziali della propria politica economica e sociale, oppure è più conveniente ricostruire questo famigerato polo sovranista che magari inizialmente sarà in minoranza, ma almeno resterà fedele ai propri principi ed alle proprie idee? Agli elettori ed ai lettori l’ardua sentenza…