La terra trentina racconta: i “paesi fantasma”

di Elisabetta Sarzi

E’ universalmente riconosciuto il fascino della nostalgia, anche di realtà molto distanti da noi. Tutti conoscerete le sensazioni che si provano nel guardare un album di vecchie foto nella casa dei nonni o nello scoprire oggetti di vita vissuta in qualche baule. Ora immaginate cosa potrebbe suscitare il varcare la soglia di una vecchia soffitta o, perché no, decine di soffitte.
Il mondo dei paesi fantasma è forse l’apice della nostalgia, della storia, dell’appartenenza. L’Italia è costellata di luoghi e paesi abbandonati che raccontano leggende semisconosciute e che fungono da archivio per la storia non ufficiale, quella storia quotidiana scritta spesso dalla povera gente e introvabile sui libri di scuola ma scolpita fra le pietre di paesaggi unici.

Il nostro Trentino non è da meno e le sue valli, gli altipiani e le montagne impervie spesso nascondono veri e propri gioielli silenti di memoria popolare nati dallo spopolamento di agglomerati urbani difficilmente raggiungibili. Difficile calcolare quanti centri ed edifici abbandonati nasconda la nostra terra poiché molti da tanto tempo sono conservati gelosamente dai boschi e dalla montagna che tende a riappropriarsi delle pietre delle antiche costruzioni. Ma facendo qualche ricerca su internet possiamo apprezzare qualche testimonianza di escursionisti o appassionati del settore che si sono imbattuti in questi paesi. Vi propongo la storia di Iron, presso il comune di Ragoli, e di Borgo Carrero, di cui conserviamo più che altro la tradizione orale.

IRON (IRONE – AIRONE)
Ci troviamo nelle Giudicarie, precisamente sulla SP 34 e deviando sulla destra, subito dopo il ponte del Lissan, si trova il paese fantasma di Iron: è un piccolo borgo medievale perfettamente conservato e per molti anni completamente abbandonato ed insignito del titolo di Meraviglia d’Italia a dicembre 2013.
Tutta la zona è costellata da simboli di morte, come ad esempio l’affresco denominato le “Danze macabre” che appare sulla facciata sud della chiesa di San Vigilio mentre lo accompagna il poema della morte che così inizia “Io sont la Morte/ che porto corona/ sonte signora/ de ognia persona…”.
L’affresco rappresenta un macabro corteo che inizia con un gruppo di tre scheletri musicanti, il primo dei quali, seduto su un trono rudimentale, porta in testa la corona a simbolo della Morte sovrana.
Il villaggio ormai disabitato dal lontano 1630, d’estate si ripopola rivivendo solo un paio di mesi all’anno; le case sono state restaurate, ma vengono abitate solo in estate. Ma cosa accadde nel 1630?

Siamo nel 1630 e Milano è in preda alla peste. Già nel 1628 la Sanità milanese, viste le notizie allarmanti sui contagi che dilagavano in Europa, mette in atto provvedimenti per salvaguardare la città.
Viene vietato il commercio con la Svizzera, con Friburgo e Berna ma inutilmente: pochi giorni ed il morbo si sparse per tutto il nord Italia.

Lo storico cappuccino Padre Cipriano Gnesotti (1717-1776), nelle sue “Memorie per servire alla storia delle Giudicarie” scriveva:
“Nell’anno 1630 il morbo menò tanta strage nello Stato Veneto che si calcolarono più di 500.000 morti”.
Iron, villaggio medioevale già citato nei documenti del XII secolo, godeva di una posizione isolata e non avrebbe dovuto correre rischi di contagio.
Affinché il morbo non si avvicinasse alle loro case mille precauzioni furono adottate: cintarono il villaggio con alte lastre di porfido (e alcune di esse costeggiano ancora i vecchi sentieri) e misero guardie armate a controllare chi entrava, impedendo l’ingresso agli stranieri.
Si racconta però che due donne del paese, mentre giravano per la valle, trovassero a terra un paio di calze di lana nuove di zecca. Senza pensarci troppo le presero e tornarono a incamminarsi. Ma nell’avvicinarsi al paese si accorsero del rischio che stavano correndo: di chi erano ? Perché erano state lasciate lì per terra? Colte dal dubbio che fossero state abbandonate da qualche appestato, le gettarono via.
Troppo tardi: arrivate al paese si ammalarono, contagiando velocemente gli altri abitanti. Uno dopo l’altro, morirono tutti.
Secondo le testimonianze orali, l’ultimo superstite, dopo aver chiesto per alcuni giorni ad alta voce, dall’alto di una roccia di Iron, notizie dei suoi parenti, avuta conferma che essi erano ormai tutti morti, scrisse e gettò il suo testamento al notaio accartocciato attorno ad un sasso. Lasciava eredi di tutti i suoi averi i vicini di Favrio di Ragoli, Vigo e Bolzana, con l’onere di distribuire annualmente dei generi alimentari conformemente alle consuetudini locali.

Consiglio di visitare il sito paesifantasma.it , nella sezione Trentino Alto-Adige, per visionare qualche scatto di questa affascinante località.

BORGO CARRERO

Ci spostiamo nella Bassa Valsugana, per analizzare una storia che si articola fra la documentazione storica e la leggenda popolare.
Per la prima, ci viene in aiuto una breve analisi storica, che qui riporto parzialmente:
“Fra i villaggi appartenenti al Comune di Grigno, sorge sulla strada nazionale il borgo di Ospedaletto detto anche anticamente Ospitale. Si ha motivo di ritenere pero’ che tale non sia stato il nome originario. Secondo una vecchia tradizione infatti presso l’antica chiesetta di San Vendemiano, che sorge vicino a Ivano-Fracena, sarebbe esistito un tempo al posto della vasta rovina sassosa un villaggio chiamato “Carrero” o più probabilmente “Careno “.
La leggenda, forse una fra le più note della Valsugana Inferiore, vuole che Dio avesse colpito col suo giusto castigo il paese, seppellendolo sotto una frana per punirlo della sua mancanza di carità verso un povero pellegrino, sotto le cui spoglie Gesù Cristo stesso si era nascosto. La credenza popolare ebbe nuovo alimento dalla scoperta di pezzi di muro e di utensili da cucina rinvenuti in una fossa sotto San Vendemiano. È ovvio che tale elemento è tutt’altro che decisivo per lo studioso che al problema con serietà si interessi, dato che la probabile presenza di una abitazione non basta a provare l’esistenza di un intero villaggio. Molto probabilmente Careno invece non era che un’antica denominazione di Ospedaletto e questa nostra ipotesi è confortata dal fatto che in un documento del 1471 della Raccolla Fiorentini, Ospedaletto passa sotto il nome di “Hospitalis Careni”. Non è questo del resto 1′ unico caso: ritroviamo la denominazione di Hospitalis Careni in un’altra carta della Comunità di Agnedo, contenente una sentenza sopra i confini di Agnedo, Villa e Ospitale. Concludendo dunque, con ogni probabilità Careno viene a identificarsi con Ospedaletto. Il trapasso dall’ uno all’ altro nome non richiede una lunga chiarificazione. Possiamo supporre che al nome primitivo sia stato aggiunto quello di Ospitale in seguito alla fondazione di un ospizio per i poveri e i pellegrini e che tale soprannome, successivamente usato da solo, abbia fatto cadere in disuso il vero nome.”

bus-caldon_paesi-fantasmaFacendo qualche calcolo, si potrebbe ipotizzare che questa frana (peraltro visibile ancora oggi, seppur coperta di vegetazione) appartenga al medesimo periodo di quella che seppellì la parte bassa della vecchia Levico Terme nella medesima epoca, scoperta durante gli scavi per la stazione ferroviaria (fonti certe: la mia nonna, la mia bisnonna e il mio trisavolo) inaugurata nel 1896 da Francesco Giuseppe.
Ma ancora più curiosa è la somiglianza tra la leggenda di Borgo Carrero e quella che narra la nascita del lago di Caldonazzo:

“Proprio lì soto la Marzola ’n tempi lontani ghèra na zità ciamada Sùsa, siora e piena de richeze, zircondada da grosi muri e piena de casoni de siori. […]Propri davanti a Sùsa, soto el col de Tena, g’èra ‘naltra zità, che la se ciamava Caldòn, anca ela co le so grandi richeze e i zitadini proprio perché’ i èra massa siori noi conoseva la miseria e gnanca la fadiga…[…]
‘N bel dì ‘n tanto che i siori i feva festa, s’è presentà sul canton dela piaza granda de Caldòn ‘n poro vecioto squerto da na mantelota sbusada e sporca[…].
L’è nà per na stradela, ‘n dove ghèra na casota mal tenuda e poreta e l’è nà dentro Na doneta con quatro popi ‘ntorno, la ghè va ‘n contra da ‘n canton scuro dela casota.
Quela note ‘nfati ghè sta nà bufera mai sentida – pareva la fin del mondo…
Tanta acqua, e po’ tanta, co la tera , i sasi la vegniva zo la portava via de tuto, no restava pu niente, la vegniva zo longo i fianchi del monte verso le zità de Sùsa e de Caldòn. Zighi de cristiani e versi de animai disperadi i roteva quel groso rumor de finimondo e ‘l pareva che no ‘l finissa pù. Ma verso l’alba tuto, pianpianel, l’è tornà quasi normale e quando l’è vegnu fòr ‘l sol, la pora dona l’è nada verso la so finestrela e ‘ndove ghera le do zità, che no le ghera pu, la vedeva na gran distesa de acqua scura e slisa. […]Le feride dei torenti e dele frane, poco ala volta le se è mese aposto: ghè vegnù su pian pianel anca erbete e sesoni e le acque no le era pu scure e slise ma del color del ziel palido del nosso lago de Caldonazo.”

Fonte: Caldonazzo Folk

Ma torniamo a Borgo Carrero. Qui di seguito vi propongo la leggenda popolare che ne racconta l’infelice destino. Non trovate eccessive somiglianze? In ogni caso sicuramente possiamo dedurre che a fine ‘700 la Valsugana fu colpita da piogge devastanti che causarono frane e smottamenti in diverse località. La conclusione più accettabile è che la stessa impostazione (molto ricorrente per raccontare catastrofi) di storia popolare servisse a dare una spiegazione a questi fenomeni, con piccole varianti di paese in paese, e fungesse da protocatechismo per la fede tipica della cultura di paese allo scopo di insegnare i valori della carità cristiana.
Ma è sempre una tentazione tenere vivo il senso di mistero e il fascino della tradizione orale e a questo proposito concludo lasciandovi la storia di Borgo Carrero.
Il nome di Borgo Carrero è la sola cosa che ci resta per ricordare questo villaggio probabilmente seppellito da una frana a fine 1700 e rimasto vivo nella tradizione orale, la cui storia si mescola con leggenda e superstizione. Si narra che la causa della sua sparizione fosse l’avarizia che caratterizzava i suoi abitanti.
Un giorno un povero mendicante si recò al paese e bussò alla porta di molte case per chiedere un tozzo di pane o un bicchiere d’acqua, ma venne sempre scacciato in malo modo. Si recò quindi alla chiesetta sconsolato:il mendicante altri non era che Gesù in persona. Venne allontanato addirittura dal sacerdote, che si lamentava delle sue vesti sporche e logore che rovinavano i banchi della chiesa.

Come ultima tappa giunse ad una vecchia e malconcia casetta, in cui viveva una povera donna coi suoi bambini. Alla richiesta di un tozzo di pane, la donna disse che se ne avesse avuto gliene avrebbe dato volentieri, ma era costretta a mentire anche ai suoi bambini: per la tanta povertà fece credere loro di avere del pane nel forno ma erano solo due sassi. Gesù allora le disse di guardare nel forno e la donna vi trovò due pagnotte fumanti. Credendo ad un miracolo, ne diede un po’ ai bambini e tutto il resto lo regalò a Gesù, il quale capì che era una donna di buon cuore e le disse che la sera stessa avrebbe dovuto barricarsi in casa coi figli, col divieto di uscire sino al mattino seguente qualunque cosa fosse accaduto.
Gesù salì su una sommità che sovrastava il paese e, ripensando all’avarizia che ormai scorreva nel villaggio, toccò un masso. Appena fece buio, si scatenò una furiosa tempesta, con scrosci d’acqua e vento. La donna ricordò le parole di Gesù e nonostante i terribili rumori provenienti dall’esterno e la tempesta che minacciava di abbattere la casetta, non aprì mai la porta.
Il mattino seguente si trovò davanti alla desolazione: il paese di Borgo Carrero non c’era più, vide solo fango e detriti e l’unica costruzione intatta era la sua casa. Corse verso la chiesa per vedere se qualcuno fosse sopravvissuto ma al posto dell’edificio vi trovò un’enorme voragine che emanava odore di morte: ancora oggi quella buca viene chiamata dai valligiani Bus del Diàu (Buco del Diavolo). Ancora oggi per raggiungerlo, si può vedere un fronte franoso antico, su cui ormai è cresciuta la vegetazione. Forse, proprio sotto quella colata di terra, sono nascosti i resti di Borgo Carrero.

Da La Spada di Damocle di ottobre 2016

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