Europa agli europei

di Marika Poletti

Gli europei non vogliono distruggere l’Europa ma vorrebbero -bontà loro- che l’Europa tornasse agli europei.

Queste le parole, ricche di ripetizioni quanto di buonsenso, raccolte dal giornalista Marcello Foa in un’intervista ad una cittadina olandese dopo le loro elezioni politiche, appuntamento che ha interessato così tanto la stampa internazionale per il pericolo populista che si sarebbe celato dietro la figura di Wilders. La preoccupazione espressa da questa donna affonda le radici nel non sufficientemente risultato elettorale del partito islamico DENK che ad Amsterdam, per esempio, ha raccolto più voti dello stesso Wilders (7,5% contro il 7%).

Dei casi di Bruxelles e della Gran Bretagna abbiamo già parlato in un altro articolo, situazioni che hanno superato -e di molto- il limite dell’umana accettabilità ma, nondimeno, sappiamo benissimo che la più scontata tesi a giustificazione dello status quo è che quelle esposte sono le naturali conseguenze del fenomeno migratorio, una sorta di fisiologica evoluzione delle cose.

Questa è una delle più grandi panzane in cui potremmo mai inciampare. “Fisiologica”, sempre che così la si voglia chiamare, potrebbe esser stata, per esempio, l’immigrazione in Italia negli anni ’70, arco temporale durante il quale gli stranieri erano circa 130 mila tra studenti, lavoratori e persone che, per la stragrande maggioranza dei casi, viveva di mezzi economici propri e vantava un livello culturale totalmente difforme rispetto a quello riscontrabile nei nuovi arrivati. Ciò a cui assistiamo oggi è, invece, una vera e propria patologia dei flussi migratori che ha portato sul nostro territorio oltre 5 milioni di stranieri, molti dei quali totalmente a carico nostro.

Non smetteremo mai di ribadire l’evidenza: oltre ad essere patologica, all’attuale situazione vanno sommati anche aspetti criminogeni considerate non solo la tendenza nella popolazione straniera a compiere reati (i dati diffusi dalla Confcommercio sono tragicamente chiari a riguardo), ma anche analizzando la popolazione carceraria che nel nord Italia alle rilevazioni fatte il 31.08.2016 contava il 70% di stranieri. Curiosità: agli inizi del secolo scorso, durante l’emigrazione di massa degli italiani negli Stati Uniti, l’incidenza dei detenuti nostri connazionali su tutto il corpo prigionieri negli USA era pari all’1%. Ciò alla faccia di chi dice che anche noi abbiamo portato criminalità nel mondo, come sovente sentiamo starnazzare da tanta parte delle varie sinistre, movimenti che hanno come unico argomento unificatore l’odio endemico verso l’Italia.

Il fatto è che non ci troviamo di fronte ad un fenomeno migratorio ma alle conseguenze delle perverse scelte di una classe dirigente eterodiretta dai grandi centri di potere che vogliono distruggere l’Europa così come l’abbiamo conosciuta per imporre “nuovi standard di normalità”, concetto contenuto nelle linee guida, per esempio, di Open Society, braccio “armato” tramite il quale il George Soros si muove per favorire l’emigrazione in Europa. Degno di nota, soprattutto per il valore simbolico, è il protocollo d’intesa che Open Society sottoscrisse con l’entusiastica amministrazione del Comune di Lampedusa e Linosa, prevedendo la fornitura da parte della fondazione di Soros di personale precipuamente formato per incentivare l’accoglienza e la diffusione di stranieri sul territorio municipale. Quello che non è riuscito al magnate è il controllo delle urne considerato che alla prima tornata elettorale utile, Giuseppina Maria Nicolini di Lampedusa, il Sindaco così caro a Matteo Renzi tanto da portarla alla Casa Bianca come esempio dell’”eccellenza italiana” per la sua battaglia a favore dell’immigrazione, ha preso un sonoro ceffone dai suoi concittadini. Tant’è. Ogni tanto pecunia olet. E pure molto.

Resta il fatto che la situazione in Italia è drammatica anche e soprattutto perché a sommarsi al numero enorme di arrivi quotidiani di stranieri vi è da considerare la mutata condizione dell’Italia, non più nazione di transito ma Stato obiettivo.

Contemporaneamente si è cementato un asse tra la sinistra e la Chiesa bergogliana, un’alchimia che porta non solo a sottovalutare le conseguenze dell’immigrazione che stiamo subendo ma anche ad imporre come pensiero ineluttabile la positività di tale fenomeno.

Stiamo, in altre parole, assistendo con Francesco I a quella che molti osservatori come, per esempio, Antonio Socci, definiscono un capovolgimento della missione della Chiesa: fino a Papa Benedetto XVI la missione era spirituale, evangelizzatrice ed in difesa della vita e della famiglia mentre “con Bergoglio sparisce ciò che è spirituale e soprannaturale e tutta la scena viene occupata dai temi mondani della rozza teologia della liberazione sudamericana, un cattocomunismo ribollito” -osserva Socci. Totalmente in linea con questo, viene fatto notare da molti che il Papa intrattiene ottimi rapporti con i capoccia della sinistra sudamericana come con i campioni del nuovo capitalismo: dal crocifisso con la falce e martello donatogli da Morales all’accogliere in-fila-per-tre-con-il-resto-di-due i vari Zuckerberg (fondatore di Facebook), Tim Cook (amministratore delegato di Apple), Leonardo di Caprio, Eric Schmidt (capo di Google), Kevin Systrom (amministratore delegato di Instagram)… Tutti in visita al Papa tranne, come sempre fa notare brillantemente Socci, i poverissimi familiari di Asia Bibi, la madre condannata a morte in Pakistan per la sua fede cristiana. A loro le porte del Vaticano furono chiuse figurativamente sul naso.

Sono decisamente lontani ormai i tempi in cui si poteva parlare di Dante che, nel Canto XVI del Paradiso, scrisse che “la mescolanza delle genti è causa dei mali delle città” ed ancor maggiore è la distanza con i Padri della Chiesa come San Tommaso d’Aquino che, nel De Regimine Principum, ebbe a scrivere: “La convivenza con gli stranieri corrompe moltissimo i costumi dei cittadini (…), la convivenza civile viene perturbata”. La nuova Chiesa evidentemente non necessita di affondare le proprie radici nei duemila anni di tradizione cristiana.

Ora assistiamo a qualcosa di già visto, al netto delle debite misure che devono esser poste in essere per non cadere nell’anacronismo. Vi è, infatti, un fortissimo legame, una sorta di parallelismo, tra la situazione in cui viviamo e la caduta dell’Impero Romano: crisi demografica, crisi economica, inflazione, carico fiscale, sfaldarsi delle più basilari regole del vivere civile, assenza di un piano identitario, anarchia militare -da intendersi in chiave governativa- e l’arrivo di popolazioni barbariche più vitali ed ad alta incidenza demografica presso le cui corti la nostra debolezza risveglia appetiti di invasione e conquista. Le ultime dichiarazioni del Presidente turco Erdogan non ne sono che un pallido esempio: “Da qui faccio un appello ai miei fratelli in Europa. Vivete in quartieri migliori. Comprate le auto migliori. Vivete nelle case migliori. Non fate tre figli, ma cinque. Perché voi siete il futuro dell’Europa.”

Qui, in quel che resta del Vecchio Continente, viviamo in uno stato di ubriacatura perenne, in cui ci facciamo imbambolare da qualunque stupidata e siamo pronti a difendere il diritto di qualunque popolo di vivere fuorché il nostro: il concetto di autodeterminazione vale ed è lodevole per l’ultima delle tribù aborigene dimenticate dagli antropologi quanto dalle cartine geografiche ma è giusto che noi ci si lasci massacrare. Il nostro, a dirla tutta, non è un omicidio ma una nichilista ricerca del suicidio: ci stiamo suicidando quando decidiamo di essere noi coloro che devono adattarsi e soprattutto quando mettiamo il nostro welfare a disposizione di tutti. Questa è una delle scelte più stupide, ottuse e criminali che possano essere prese.

L’Italia è piena di gente diversa da noi, che mangia quello che è frutto del nostro lavoro e che, per questo motivo, dovrebbe invece essere considerato nostro di diritto.  A ben vedere l’Italia versa in uno stato simile a quello di Itaca senza il suo Re. Sta a noi far sì che il nostro Ulisse torni a casa, liberi la sua regina Penelope e rivendichi quanto è giusto per tutti noi, facendogli segnali luminosi affinché la sua barca trovi la via del ritorno od assumendoci noi stessi, tutti assieme, il ruolo che fu del grande eroe acheo. Tutto deve essere fatto per ripristinare un giusto ordine delle cose e rimettere al rispettivo giusto posto coloro che hanno favorito e lucrato su questa tutt’altro che pacifica occupazione. Perché questi ultimi sono i peggiori di tutti: dei traditori.

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