di M. I.
Perché Mambro e Fioravanti potrebbero non essere i responsabili della Strage più grave mai compiuta in Italia
2 agosto 1980, ore 10.25: scoppia una bomba di 23 chili di esplosivo nella sala d’aspetto di seconda classe della Stazione di Bologna; alla conta finale, i morti saranno 85 e più di 200 i feriti: spesso, questo, viene definito il più grave attentato terroristico avvenuto in Italia nel secondo dopoguerra. La mattina seguente, i giornali già indicavano come responsabile l’estrema destra: d’altro canto va segnalato che la strage di Bologna è stata intersecata da una serie di depistaggi e controdepistaggi, in cui si inseriscono rivendicazioni da parte anche delle Brigate Rosse e la pista dello scoppio di una caldaia sottostante la stazione. A ciò si aggiungono falsi dossier creati dal SISMI, i servizi segreti del tempo, e dichiarazioni del Maestro Venerabile della P2, Licio Gelli, il quale venne successivamente condannato proprio per il tentativo di depistaggio delle indagini.
Le indagini proseguirono fino al 1986, quando vennero rinviate a giudizio una ventina di persone, fra cui Valerio Fioravanti e Francesca Mambro: questi ultimi, insieme ad altri coetanei, fondano i Nuclei Armati Rivoluzionari che, specularmente a quanto avveniva da parte di membri legati all’estrema sinistra, operavano lotta armata di stampo neofascista; è importante sottolineare, inoltre, il rinvio a giudizio del Generale Pietro Musumeci, ai tempi comandante del SISMI, imputato di depistaggio e associazione sovversiva.
Dopo la sentenza di primo grado, nella quale Mambro e Fioravanti vennero ritenuti responsabili, nella sentenza di Appello, questi vennero assolti dall’imputazione di strage, mentre rimase in piedi la condanna per banda armata; tale seconda sentenza venne poi cassata con rinvio dalla Suprema Corte di Cassazione, che ordinò un nuovo processo, in quanto le motivazioni della sentenza di Appello erano illogiche e prive di fondamento: venne quindi celebrato un nuovo processo di Appello, dove invece i due membri dei NAR vennero riconosciuti colpevoli. Nel ‘95, la Corte di Cassazione conferma la seconda sentenza di Appello, condannando all’ergastolo Mambro, Fioravanti e Sergio Picciafuoco, per il quale venne richiesta però una nuova revisione del processo. Qualcuno potrebbe dire che giustizia è stata fatta, ed effettivamente potrebbe presupporre che dopo ben 5 processi la verità processuale sia coincidente con quella dei fatti: in questa presupposizione, però, si inseriscono le dichiarazioni della terrorista chietina e del terrorista roveretano, che fin da subito si sono sempre dichiarati innocenti. E quindi, sorge spontanea la domanda: perché dei terroristi, già condannati a numerosi ergastoli, dovrebbero negare le proprie responsabilità in un’azione di questo tipo, sicuramente più eclatante dei vari omicidi compiuti, per i quali già incidevano sentenze di carcere a vita?
A ciò hanno provato a rispondere in molti: è stato addirittura costituito, in un circolo della sinistra ARCI, il comitato E se fossero innocenti? con il quale hanno collaborato da Giovanni Minoli ad Oliviero Toscani, passando per Giampiero Mughini; a ciò si aggiungono molti altri personaggi noti che hanno sollevato dubbi in merito a questa sentenza, fra cui l’ex Presidente della Repubblica Cossiga, l’ex Presidente del Consiglio Spadolini, Adriano Sofri, terrorista di sinistra, mandante dell’omicidio del Commissario Calabresi, Andrea Camilleri, …
Le risposte agli interrogativi che si sono posti negli anni sono state molte, ma quella più interessante è quella del cosiddetto Lodo Moro, della cui esistenza per molti anni si è discusso; oggi, finalmente, anche le istituzioni ne riconoscono la sua vigenza durante gli anni ‘70 e ‘80: scalpore particolare ha suscitato un’intervista dell’attuale Capo della Polizia, Franco Gabrielli, in passato direttore del Sisde, in cui ne ha, sostanzialmente, riconosciuto l’esistenza. Il Lodo Moro fu un patto stipulato da Aldo Moro, ai tempi Ministro degli Affari Esteri del Governo Rumor, con dei gruppi affiliati all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, responsabili di molti attentati in tutto il continente europeo dal ‘68 in poi; il patto prevedeva di tenere l’Italia fuori dalle bombe e come controaltare l’Italia avrebbe permesso di utilizzare il proprio territorio come base logistica per la progettazione degli attentati, nonché non avrebbe ostacolato il passaggio di uomini ed armi sul suolo nazionale: a conti fatti, il patto funzionò e l’Italia non venne mai toccata da attentati terroristici da parte dei palestinesi.
La Pista palestinese, in particolare avallata dal Presidente Cossiga (solo dopo la fine della sua Presidenza, però), è stata per molto tempo portata avanti, quasi in solitaria, da Enzo Raisi, ex parlamentare di AN; nel suo libro Bomba o non bomba, egli afferma che la strage sarebbe stata una azione simbolica, forse in ritorsione per una rottura del patto, dopo la morte di Moro. Cossiga, invece, afferma che la strage sia stata, sostanzialmente, un errore: la carica di esplosivo sarebbe stata fatta esplodere durante il trasporto per errore, oppure perché male conservata.
Che si tratti di errore o di ritorsione, comunque, ancora non è certo: fin da subito i depistaggi, operati in particolare da Gladio e dalla P2 di Licio Gelli, spostarono l’attenzione sulla pista neofascista, in modo tale da coprire il Lodo Moro, patto che sostanzialmente era proibito in quanto segreto; ciò che è certo, invece, è che Cossiga, in un’intervista del 2008 al Corriere della Sera, si dichiarò assolutamente convinto dell’innocenza di Mambro e Fioravanti: pur condannati a molteplici ergastoli per vari omicidi compiuti negli anni della loro lotta politica, sicuramente, però, possiamo dire che la sentenza di condanna per la Strage di Bologna appare, quantomeno, controversa, alla luce di ciò che fin qui abbiamo analizzato.