di Marika Poletti
La legittima difesa non è violenza ma, al contrario, è l’estrema ratio della sicurezza, il primo diritto per garantire il quale, secondo molti pensatori e filosofi, la comunità umana stessa viene fondata. E’ altrettanto vero, però, che non ci si può difendere senza strumenti o, per usare un termine particolarmente inviso al politically correct, senza armi.
La moderna panacea culturale demonizza le armi e soprattutto i loro portatori, arrivando a descrivere un normale cittadino che per difendere sé e la propria famiglia si munisce di una pistola come fosse un potenziale sanguinario criminale. Questo modello di pensiero binario, che divide i buoni dai cattivi senza alcuna sfumatura, ha già dato prova di essere quanto di più stupido un uomo possa adottare per definire le regole del vivere sociale. Basterebbe pensare alla Legge Reale che equiparò le armi legittime a quelle illegittime allo scopo –dichiarato- di poter condannare anche coloro che utilizzavano queste ultime. All’esterno delle stuccate mura del Parlamento, però, tale sciocco livellamento portò immediatamente ad una constatazione: se la pena è equivalente, perché utilizzare una scomoda arma impropria quando se ne poteva usare direttamente una vera? Il tutto nel cuore degli anni di piombo e mentre la Banda della Magliana imperversava nelle vie di Roma. Un monumento alla lungimiranza, non vi è che dire.
I desiderata nemmeno tanto segreti della sinistra ci vedono ridotti come la società descritta, per assurdo, da un noto film del ’93 di Stallone, Demolition man: siamo nel 2032 e la civiltà è composta da uomini effemminati, totalmente privi di nerbo, imbelli, vegani e schiavi del pensiero unico, assoggettati alla censura delle idee ed incapaci di produrre alcunché senza l’utilizzo della tecnologia, procreazione compresa essendo bandita ogni forma di pratica sessuale che non sia virtuale a cui far seguire, all’occorrenza , l’inseminazione in vitro.
Per renderci degli ameba su modello della società de-virilizzata del film, si deve come sempre partire dai bambini ed utilizzare tutti gli strumenti atti a renderli, una volta divenuti adulti, dei bambolottoni in vestaglia e ciabattine che zompettano in un mondo di plastica.
Un lettore normale potrebbe pensare che stiamo esagerando se non fosse che ampli ed articolati studi sulla scelta consapevolmente pacifista dei giocattoli sono già stati condotti –e finanziati- dalle Università di tutto il mondo e, corroborati dalle osservazioni emerse, un manipolo di sociologi sono pronti a chiedere alle agenzie che nei vari Stati si occupano di controllare l’adeguatezza dei giocattoli, di bandire quelli che contengono armi od allusioni ad esse. Anche nel più assurdo dei modi.
Uno di questi studi, “Have LEGO Products Become More Violent?”, condotto presso l’Università di Canterbury dal equipe diretta dal dottor Christoph Bartneck, mira a voler eliminare dal panorama ludico dei più piccoli ogni forma di gioco che richiama all’uso delle armi per sostituirlo con giocattoli protosociali –in cui, cioè, l’unica finalità è aiutare il prossimo pacificamente-.
I ricercatori si concentrano sui prodotti della Lego in quanto la ditta danese che li produce mette sul mercato il prodotto dal 1958: oltre cinquant’anni in cui possono essere scorte, meglio di qualunque altra forma di gioco, le modifiche, le mode ed il rinnovato gusto dei bambini.
Prima di giungere agli esiti della ricerca, degni di nota sono i criteri adottati per condurla. L’equipe ha utilizzato un gruppo di valutazione composto da un campione di persone dai 18 ai 54 anni (con media di 31), formato dal 70% di maschi, 25% di femmine ed il restante 5% dei generi mancanti. Solo su quest’ultimo parametro potremmo aprire un’infinità di riflessioni: se dovessimo stare agli ultimi trend internazionali che suddividono i generi in diverse dozzine, sarebbe legittimo domandarsi quali di questi 70 modi di intendere la propria identità sessuale sarà stato discriminato nel gruppo di valutazione.
Il gruppo di donne, uomini e qualche transessuale od intrasexual è stato posto dinnanzi ai cataloghi delle Lego, soffermandosi in media 37 secondi per pagina ed esprimendo per ciascuna il livello di violenza percepito secondo criteri di strettissima oggettività come, per esempio, l’atmosfera generale o l’aggressività psicologica non verbale del singolo Lego. Detta così potrebbe sembrare tranquillamente una barzelletta –dei Lego che propagano nell’atmosfera dell’aggressività psicologica… specificatamente non verbale in quanto si sa che gli omini di plastica sono soliti intavolare dei dibattiti sulle più disparate materie…-. Se non ci si sentisse già abbastanza presi per i fondelli, arrivano gli esiti della ricerca a completamento dell’opera. Secondo questo gruppo di controllo e valutazione, il 40% dei set di Lego diffondono violenza intesa come fattore eccitante per il giocatore.
Un’ultima considerazione, anch’essa interessante, prima di mandare al macero tutta la faccenda: nel concreto il 30% dei set contendono delle “armi” (ovviamente sempre se possiamo definire tali l’uncino dell’omino Lego che fa il pirata, i cannoni dei castelli, la spada laser di Star Wars ed addirittura il bastone di Gandalf nelle confezioni del 2012 intitolate al Signore degli Anelli) ma il gruppo di generi misti ha riscontrato nel 40% dei casi della violenza. Ciò perché i solerti osservatori, dopo aver percepito l’odio dirompente scaturito dalle intenzioni “non verbali” delle statuine, hanno immaginato che, assemblando i piccoli mattoncini Lego, si sarebbe potuto creare un’arma anche se il singolo set non la prevedeva.
Questo genere di ricerche vanno di pari passo con la N.P.O. (narrativa pedagogicamente orientata), di cui abbiamo parlato nel numero di gennaio, e si prefiggono come scopo dichiarato quello di annichilire l’uomo moderno, estromettendo l’aggressività dal suo universo dei sentimenti conosciuti, le scelte eroiche ed ogni capacità di difesa. Così i giochi devono essere solo “protosociali” -aiutare qualcuno a, per esempio, fare la spesa al supermercato- e le favole devono raccontare solo piccole vicende quotidiane di vita normale –come si comporta un bravo bambino nello stesso supermercato-.
L’aggressività, al pari dell’empatia, è un sentimento umano fondamentale, considerato da psicologici meno ideologizzati fondamentale per la vita dell’uomo, soprattutto in età evolutiva. E, con buona pace della moderna sovversione dei ruoli, l’aggressività –intesa come sentimento non violento- è atavicamente la molla che caratterizza anche il rapporto sessuale. Alienando l’uomo dalla sua natura non ci rimane che un suo surrogato impotente.
Siamo poi così sicuri che la società di effemminati ed incapaci descritta da Demolition man sia così distante dal nostro futuro?
Assurdità……frutto del più esagerato( e per me,famigerato…)pacifismo.
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