di Gianni Stoppani
Le agognate ferie estive potrebbero indurvi al relax letterario, inteso come buone letture che rilassino e al tempo stesso illustrino nuove prospettive per ancor meglio comprendere il mondo di oggi. Per questo abbiamo deciso di ricorrere ad una formula un po’ inconsueta, proponendovi una recensione multipla di più libri, che però sono legati tra loro da un unico filo conduttore, ossia quello della nascita e dello sviluppo del pensiero liberista americano, della sua trasformazione in capitalismo e del conseguente effetto sui popoli che ne sono, volenti o nolenti, venuti a contatto. Si tratta di opere in qualche caso pubblicate qualche anno fa, che forse ancora non conoscete ma che mantengono assolutamente intatto e fresco il loro valore letterario e che la pubblicazione di un nuovo volume fa volentieri ripescare dallo scaffale e riproporre ai lettori de “La Spada di Damocle.
Partiamo quindi con una serie di tre volumi scritti da un blasonatissimo scrittore di fantascienza italiano, ossia quel Valerio Evangelisti ideatore personaggio del personaggio del monaco inquisitore Nicolas Eymerich, gesuita assai inquietante ma non meno affascinante che dagli anni ’90 in poi ha dato all’autore bolognese fortuna e gloria. Esaurito il ciclo fantascientifico Evangelisti si è però dedicato con non minore fortuna e bravura allo studio del fenomeno operaio e sindacale americano negli anni che vanno dalla fine della Guerra Civile (1866) sino a dopo la Prima Guerra Mondiale, realizzando un ciclo di tre romanzi dal robustissimo spessore storico, rigorosamente attagliati a fatti realmente accaduti, e in cui l’unica concessione letteraria è quella del personaggio, o meglio della famiglia di personaggi che attraversa quest’epoca vivendo sulla propria pelle gli avvenimenti narrati.
A scanso di equivoci va comunque chiarito che il termine “sindacale” va inteso in quest’opera in un accezione completamente diversa da quella che solitamente si intende nel nostro paese. Nelle lotte sindacali americane infatti, pur essendo sempre presente un elemento di ideologia marxista questo appare sempre come minoritario rispetto al complesso e variegato mondo delle associazioni operaie che reclamavano migliori condizioni di lavoro e salari più alti, vessati da una classe imprenditoriale che al contrario agitava lo spettro di Marx per fornire una coperta ideologica al proprio agire, sostenuta quindi da un potere politico – e talvolta militare- apertamente schierato con essi al punto tale che divenne pratica comune infiltrare i movimenti con spie professioniste assoldate dall’Agenzia Pinkerton, e ricorrere all’eliminazione fisica dei più facinorosi.
Sulle pagine di Evangelisti, probabilmente uno degli autori italiani contemporanei più dotati in assoluto, ripercorriamo quindi le vicende proprio di una di queste spie, usato dal sistema contro i suoi stessi compagni, illuso, spremuto ed infine rinnegato e gettato via. Il tutto su uno sfondo di un America in tumultuosa crescita, con burocrati e politicanti che non devono preoccuparsi di rendere conto al popolo che sono chiamati a governare e dirigere, e che non esitano dapprima a spazzare via gli abitanti delle terre in cui intende attuare un espansione condotta a cavallo delle strade ferrate, e poi ad esportare il proprio modello liberista anche ai paesi vicini, il Messico in primis. Il tutto è descritto nel primo romanzo “Antracite”, che ancora mantiene una componente fantasy tipica dei precedenti romanzi di Evangelisti, che poi però l’autore abbandona per dedicarsi in toto alla narrazione di matrice storica frutto di una ricostruzione, come detto, eccellente e assai puntigliosa, frutto di anni di ricerche fatte dall’autore ricorrendo a fonti documentali coeve e di varia provenienza archivistica, tanto che se i personaggi principali –alcuni realmente esistiti- vengono fatti agire sulla base dell’immaginazione dello scrittore, i due successivi volumi “Noi saremo tutto” e “One Big Union” nel loro insieme assumono un valore che va ben al di là del mero romanzo, divenendo vero e proprio unico libro di storia da leggere d’un fiato, grazie anche allo stile che è comunque sempre avvincente e mai noioso.
Vicende di un secolo e mezzo fa ma che ricordano, oggi più che mai, il quadro sociale, politico ed economico dell’Italia contemporaneo, a conferma dei corsi e ricorsi storici da cui l’uomo sembra incapace di liberarsi.
A tale collana di tre volumi, riportati in calce alla recensione, va poi a nostro avviso idealmente collegato un altro libro che narra la nascita del capitalismo americano dalla parte di chi lo ha fieramente combattuto, perdendo infine la propria battaglia senza che gli venisse concesso nemmeno un albionico onore delle armi, ma mantenendo comunque il proprio orgoglio sino alla fine. Ci riferiamo alla biografia di Geronimo, immortale capo Apache che con un pugno di uomini tenne in scacco per anni l’esercito USA impegnato a liberare la via alle strade ferrate sulle marciava la nuova potenza mondiale, inseguito, perseguitato ed infine tradito da quegli uomini bianchi di cui, stremato, aveva deciso di fidarsi e che mai mantennero la parola data in cambio della fine della sua resistenza armata. Il libro è la riedizione di un volume edito per la prima volta nel 1906 e scritto da Stephen Barrett, sovrintendente scolastico in Arizona che incontrò il vecchio capo indiano all’epoca confinato nella riserva indiana di Fort Sill.
Barrett, che chiese a Geronimo di raccontargli la sua vita allo scopo di far conoscere al mondo la storia delle guerre indiane dal punto di vista dei nativi americani venne tuttavia scoraggiato dal governo di Washington di dare alle stampe l’opera, e se lo avesse fatto di dissociarsene apertamente allo scopo di evitare ripercussioni. Nel libro Geronimo –che non imparò mai a scrivere- racconta quindi la propria vita, e il proprio punto di vista. La narrazione è lineare, talvolta ingenua nella convinzione del vecchio guerriero che ai nuovi arrivati si potessero applicare le stesse regole in uso tra gli Apache, ove la semplice parola di un uomo era e rimaneva vincolante.