di Elisabetta Sarzi
«Siamo di fronte alla dittatura del più mediocre».
Avelina Lésper
Dopo anni di scuola e qualcuno di studi in storia dell’arte, leggere una frase simile è stato come respirare un po’ d’aria fresca. Il mio primo contatto con l’arte contemporanea risale ai miei otto anni, entrando per la prima volta in un museo (nello specifico, di arte moderna e contemporanea) insieme alla mia classe. Ho vaghi e confusi ricordi, probabilmente grazie al meccanismo di filtraggio che il nostro cervello attua come auto-difesa dai traumi, ma la scena che mi si presentava davanti era la seguente: un water con all’interno dell’acqua rossa. Un caloroso benvenuto per dei bambini di terza elementare. Credo che rappresentasse la morte di qualcuno, o almeno è questo che ricordo dalle parole della guida.
Durante il periodo universitario, un solo corso mi è rimasto indigesto ed era Storia dell’arte contemporanea: opere video e installazioni incomprensibili, considerazioni politiche e morali più che estetiche e un fastidioso senso di superiorità nei confronti degli osservatori dell’opera, che si presuppone siano vuoti e ignoranti a prescindere ma con una possibilità di riscatto spirituale se riusciranno a comprendere prima e ad accettare poi. Dissacrazione, scandalo, disorientamento, bruttezza, alienazione, stravaganza. Ma soprattutto una paradossale pretesa di anticonformismo, che ha trasformato tutta questa corrente in un piattume omologato di idee e posizioni.

Ho iniziato questo articolo con una citazione di Avelina Lésper, critica d’arte di messicana, che ho scoperto essere una vera combattente nel campo della “politica artistica”: molto criticata, spesso anche molto canzonata, nell’ambiente culturale latino-americano per le sue posizioni ribelli nei confronti del politically correct artistico, ha anche messo a disposizione gratuitamente, sul suo sito avelinalesper.com, il suo saggio La truffa dell’arte contemporanea in formato PDF. Purtroppo sul web non si trova la versione tradotta, ma ne consiglio la lettura nel caso in cui masticaste un po’ di spagnolo.
In un’intervista del quotidiano spagnolo La Vanguardia, Lésper non usa mezzi termini per definire la paccottiglia ideologica che ci viene propinata come qualcosa che «…da un lato pretende di cambiare, tramite le parole, la realtà di un oggetto attribuendo ad esso caratteristiche che non sono visibili e valori che non sono comprovabili. Inoltre si suppone che dobbiamo accettarli ed assimilarli come arte. È come un dogma religioso. […] Quando Duchamp fece il suo “ready-made”, evitò a tutti gli artisti il processo intellettuale. Qualunque oggetto è arte. Sotto questo punto di vista, immaginate la quantità di opere d’arte che possedete. Tutto il vostro contesto ha il potenziale di convertirsi in arte. Non dovete aspettare che un dato artista si formi, dimostri il suo talento e si perfezioni contribuendo con qualcosa.
[…] Non c’è nulla da capire, è un’arte che esige di venire assimilata senza discuterla, per questo è anche dogmatica. Chiede una fede in essa, non che venga compresa, come le religioni. Vuole sottomettere il nostro intelletto. Quello che sbaglia è lo spettatore, l’artista e la sua opera sono infallibili. Se dici che manca di valori estetici, di intelligenza, che non ti porta a nulla, allora ti viene detto che sei ignorante.»

E vi assicuro che a me è successo non poche volte. Insomma, l’arte contemporanea è un concetto fortemente classista, inaccessibile ai più ma riproducibile da chiunque. Non vuole (perché non riesce) dimostrare alcun tipo di abilità artigiana o intellettuale, semplicemente si tratta di un ottimo strumento propagandistico per veicolare un certo tipo di messaggi alla bisogna.
Un esempio che ci porta vicino a casa potrebbe essere una mostra ospitata al museo Mart dell’artista Kendell Geers, intitolata Ir-resp-ek-tiv, di cui conservo ancora un catalogo donato agli studenti del corso. Tra le solite trite e ritrite versioni del crocifisso, di gente che pratica auto-erotismo in posizioni alquanto scomode e oggetti rotti alla rinfusa, ecco un artista. La stessa storia si ripete con il famigerato Piss Christ (Cristo di piscio) di Andres Serrano, ospitato anche in Italia, che si sostanzia in un piccolo crocifisso immerso nell’urina dello stesso artista, ma anche con opere analoghe come Madonna and Child II (Madonna e Bambino II). E guai a parlare di blasfemia, vi ritrovereste ad essere tacciati di medievalismo.
Per quanto generalmente non piaccia questo tipo di “libera espressione”, ogni volta che qualcuno la criticherà sarà tacciato di ignoranza e bigottismo, un po’ come succede anche in altri contesti non artistici. A quanto pare, per essere originali, al passo coi tempi, giovani e progressisti, serve denigrare qualcosa o qualcuno, forse per compensare il proprio vuoto intellettuale.
Osservando il panorama culturale del nostro secolo dagli spalti più alti dell’arena, ci si accorge che tutto il nostro patrimonio sta trasformandosi in qualcosa di sterile. Il mondo umanistico svanisce sotto il peso della finanza e della tecnica e lo si vede prima di tutto in ambito scolastico e accademico. Le facoltà umanistiche sono considerate fucina delle cosiddette lauree deboli o addirittura della pensione e producono un numero consistente di disoccupati – perché “con la cultura non si mangia” –; dalle scuole sono state tolte le ore di musica ed educazione artistica, senza contare il basso il livello di capacità espressiva in lingua madre che posseggono gli studenti; i luoghi d’interesse storico-artistico spesso cadono in rovina per mancanza di fondi per mantenerle e per l’assunzione di personale.
Stiamo lasciando il posto al nulla più assoluto, che sforna prodotti usa e getta sia per qualche élite del settore sia per la massa, pretende di essere qualcosa che non è ed anche in questo caso, per citare Chesterton, «fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi».