Celebriamo il funerale del centrodestra e riprendiamo le redini dell’Italia

di Marika Poletti

Questo numero de La Spada esce ad una settimana esatta dalle elezioni amministrative e, pur nell’attesa dei ballottaggi, il primo turno ha dato molti spunti su cui riflettere per progettare i prossimi passi.

Al netto dei risultati del PD, in flessione rispetto alle precedenti rilevazioni, ed al macro-contenitore che risponde al nome di Movimento 5 Stelle, nel campo del cosiddetto centrodestra non vi è di che gioire.

Potremmo tranquillamente scrivere un manuale Cencelli contenente la ricetta perfetta per la sconfitta sicura osservando quanto è accaduto a Roma, realtà nella quale è stata netta la differenza tra chi ha provato a vincere e chi è sceso in campo solo per azzoppare il peggior avversario -che è sempre, per chi conosce la politica, il proprio potenziale alleato-.

La convergenza sulla candidatura di Alfio Marchini da parte del cerchio magico di Berlusconi era scontata da più di un anno, arco temporale nel quale un consigliere di minoranza del comune di Roma, eletto in qualità di candidato sindaco di una civica con il 9% -Marchini, appunto- ha iniziato a vivere di comparsate nei talk show, i telegiornali di Mediaset gli concedevano spazio al pari de Il Giornale. Si è giocherellato come il gatto con il topo prima di ritrovarselo come candidato che da “libero dai partiti” è poi divenuto portavoce di tutto ciò che a Roma puzza di muffa. Per la cronaca, il topo -Giorgia- lo ha piallato a doppia mandata.

Quale il risultato? A parte il 10% ottenuto alle urne (nemmeno un punto in percentuale in più rispetto a quello che aveva ottenuto da solo, dimostrando quando di fatto l’appoggio di Forza Italia e l’aver imbarcato da Fini a Storace non abbia dato ottimi frutti), lo scopo della missione -forse all’insaputa dell’Alfio nazionale- era impedire di andare al ballottaggio all’unico candidato che riassumeva il centrodestra. Questa strategia era sotto gli occhi di tutti gli osservatori della politica, tanto che sono personalmente persuasa del fatto che la vera sede del comitato elettorale di Marchini fosse presso via del Nazzareno. Per accorgersene non erano nemmeno necessarie le uscite scomposte delle due strillone forziste, la Pascale e la Mussolini, ma… si sa… quando si ha nel DNA l’irrefrenabile istinto a starnazzare non ci si può dare un contegno.

Tralasciando i casi da trattamento sanitario obbligatorio, tutti noi abbiamo assistito a dichiarazioni da tubo catodico -proprio da prima repubblica- in cui i Brunetta & c. ci hanno spiegato che l’unica ricetta per vincere è andare tutti uniti, cosa che ti fa pure sentire preso per i fondelli considerato che nella Capitale hanno dovuto reidratare anche le mummie per candidarle in fila x6 con il resto di 2 e potersi presentare contro la Meloni.

Prendiamola per buona, comunque. Ma uniti con chi? Di nuovo Alfano, Casini, Fini? Oppure con le “nuove” leve, quelle che hanno fatto presupporre il passaggio dalla tanto vituperata “mignottocrazia” alla “badantecrazia”? Su, siamo seri.

Cerchiamo di essere seri perché mentre giochiamo a mostrarci i muscoli vicendevolmente, l’Italia -scuserete il francesismo- va a puttane. Renzi sta letteralmente distruggendo quel poco che di funzionante vi era in questa Nazione, nel totale silenzio dei sindacati, dei giornali, della magistratura e del mondo della cultura. Renzi unisce il peggio della sinistra -con lo smantellamento della famiglia e la colonizzazione etnica che stiamo subendo- con le derive del liberalismo, rendendo il capitale egemone sulla politica, massacrando così il tessuto sociale e produttivo, le specificità ed il nostro saper fare. Renzi, in altre parole, prima dell’Italia sta distruggendo gli italiani.

Abbiamo l’obbligo etico di liberare le energie positive dei nostri schieramenti, quel pugno di eroici testardi che sono riusciti a crescere politicamente anche dopo 20 anni di diserbante, e chiedere agli uomini del passato -almeno quelli il cui passato non li condanna in solido per il degrado attualmente in essere- di aiutare nella crescita personale e strutturale delle persone che dovranno prendere presto le redini di una nuova classe dirigente da porre a capo prima dei partiti e poi della nostra Patria. Se invece sono così egoisti e legati al potere, a quel briciolo di potere che gli rimane che consta grossomodo nell’esser circondati da una ristretta pletora di ultimi approfittatori, dobbiamo avere il coraggio di celebrare loro il funerale politico per fargli inaugurare una nuova fase della loro vita: la pensione. Senza rimpianti e senza sensi di colpa: quando avrebbero potuto fare qualcosa in pochi si sono dimostrati all’altezza.

Da La Spada di Damocle di giugno 2016

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