di Marco Taufer
Uno dei temi più discussi in questi giorni è quello che riguarda il diritto alla cittadinanza. Questo termine, in latino civilitas, designava l’appartenenza alla civitas, ossia l’assieme dei cittadini di una località e nel contempo lo “status” giuridico, che fa di tutti i cittadini dei soggetti di diritti e di doveri.
Nell’Impero romano si poteva diventare civis tramite 4 modalità: da padre cittadino, attraverso la nascita da madre, per adozione da parte di pater cittadino, o per volontà collettiva di chi già possedeva la cittadinanza. Il diritto di voto era già vincolato al possesso della cittadinanza stessa. Nella Roma repubblicana, soltanto i cives potevano esercitare diritti come quello di voto, il quale comprendeva l’essere titolare della patria potestas e del dominium su cose e schiavi.
Nel corso dei secoli si sono apportate delle modifiche, sia in Occidente che in Oriente, ma l’essenza della cittadinanza rimaneva l’appartenenza ad un legame etnico – culturale.
Con la scoperta dell’America e con gli esodi di popolazioni intere, nasce la necessità di ridiscutere la questione della cittadinanza. Il diritto di nascita, ossia lo ius soli, è applicato in quasi la sua totalità in paesi dove non esiste ancora una radice culturale solida e millenaria (per esempio il Canada, il Brasile e gli Stati Uniti d’America). Affermare questo diritto nel paese dove è nata la civiltà occidentale rappresenta un suicidio culturale ed etnico.
Le diversità culturali sono importanti, perché ci valorizzano ed enfatizzano l’appartenenza ad una comunità secondo un legame storico e culturale. La strategia adottata dai Socialisti e dai Comunisti è l’universalizzazione e la creazione di una società multietnica, che significa la distruzione delle minoranze linguistiche e culturali (ad esempio l’Unione Sovietica, Cuba e la Cina; dove i cittadini perdono il diritto all’individualità, cedendolo allo Stato, in cambio del minimo indispensabile per la sopravvivenza). Questa tattica ha come obiettivo appunto l’indebolimento individuale e l’alienazione del singolo dalla comunità di appartenenza. Quello che sembra essere una liberazione, in realtà risulta essere un indebolimento delle qualità specifiche dell’individualità che ci rende diversi e unici. Questo schema ci rende dei facili bersagli, e quindi maggiormente schiavizzabili e manipolabili intellettualmente.
L’appartenenza ad una comunità non implica soltanto il viverci o il conviverci. Quello che tiene insieme la comunità sono dei legami che non si limitano solo ad un territorio: i legami di una comunità vanno al di là del fattore geografico.
Ad esempio, il popolo ebreo è stato espulso dalla Palestina definitivamente circa nel 150 d.C., ma nonostante ciò questa comunità è rimasta unita nelle sue differenze per quasi due millenni. Quello che li lega non è affatto l’appartenenza geografica e nemmeno quella linguistica, ma piuttosto una radice molto profonda in senso di appartenenza culturale e etnica. Questo popolo non ha mai venduto la sua identità, il suo essere cittadino, il suo appartenere ad una comunità. Un ebreo sarà sempre un ebreo. Anche se sionista, sefardita o ortodosso. Anche se di religione musulmana, cristiana o ateo. Anche se nato in Uruguay, nella Danimarca o nella Palestina.
Un altro esempio è la cultura più che millenaria, anche se in questo caso legata al territorio, del Giappone. Uno/a straniero/a, anche se ivi residente, sposato/a con una/un cittadina/o giapponese, e vivendo lì per tutta la vita, non diventerà mai un/a cittadino/a giapponese. I figli di cittadini giapponesi nati all’estero che non si presentano in Giappone prima dei 18 anni, si vedono negato il diritto alla cittadinanza. Al contrario degli ebrei, i giapponesi valorizzano l’attaccamento al territorio, ma questo di per sé non basta. Per diventare cittadino, bisogna appartenere alla cultura e all’etnia giapponese senza perderne il ricordo e il legame.
Nei paesi del continente americano, dove predomina lo ius soli, la cultura e la tradizione sono di derivazione relativamente recente, e quindi non ancora sedimentate. Il multiculturalismo e la diversità etnica sono benvenuti, e tutto sommato sembrano funzionare, per il fatto che non esiste una cultura dominante di basi solide. Nonostante ciò, ogni giorno vediamo negli Stati Uniti (nei quali fino agli anni ’60 esisteva ancora una specie di apartheid nelle federazioni del sud – est come la Carolina del Nord, la Carolina del Sud e la Georgia), che i conflitti etnici sono causa di scontri più eloquenti e tragici che mai.
L’Italia, nonostante le sue differenze etnico – culturali, è il risultato di un’unità culturale formatasi lungo il corso di alcuni secoli. I popoli che appartengono all’attuale Repubblica Italiana sono uniti attraverso un legame consolidato nella penisola da chi vi risiedeva da più di 2000 anni. Queste popolazioni sono riuscite a convivere, a costruire una lingua comune e dei valori condivisibili “dalle Alpi alla Sicilia”. Con l’esodo italiano di fine 1800 e di inizio 1900, la nostra cultura e la nostra lingua sono state diffuse in tutto il mondo, generando un senso di appartenenza comune ai figli, nipoti e pronipoti degli italiani emigrati. A queste persone è riconosciuto il diritto di cittadinanza attraverso il diritto di sangue. Quest’idea è condivisibile, perché un popolo (come abbiamo sostenuto prima) è fatto non solo di un legame geografico – territoriale, ma anche culturale, religioso e linguistico. Gli Italiani nati e cresciuti all’estero, nella loro maggioranza, mantengono ognuno di questi princìpi.
La Costituzione italiana garantisce il diritto di sangue, e durante questa settimana si è aperto un precedente davvero spaventoso con l’approvazione della nuova legge sulla concessione della cittadinanza. Una legge promossa dai mezzi di comunicazione gestiti da una fetta della società infettata dal buonismo e di cui il risultato si conoscerà tra qualche anno. Lo ius soli approvato dalla Camera dà la possibilità a circa 1 milione 200 mila cittadini stranieri di ottenere il diritto alla nostra cittadinanza, ossia un vero cambiamento del volto italico in cambio di futuri elettori. La Sinistra italiana sta compiendo l’ennesima mossa verso l’annientamento del popolo, della cultura e della lingua italiana. Siamo in guerra contro noi stessi. L’Italia come nazione rischia di rimanere soltanto un ricordo nei libri di storia.
Da La Spada di Damocle n. 3 – Ottobre 2015