di Marco Interdonato
Se Gianni Endrizzi, lo storico fruttivendolo di Piazza Vittoria, avesse saputo che un eccesso di correttezza verso i suoi clienti gli sarebbe costato 1100 € di multa, probabilmente avrebbe posto molta più attenzione alla forma dell’etichetta dei suoi prodotti piuttosto che alla qualità degli stessi: infatti, a metà aprile Endrizzi ha ricevuto il verbale di contravvenzione in quanto “ometteva l’indicazione del Paese d’origine “Italia” sul cartello apposto accanto ad una partita di fagiolini freschi esitata per la vendita al dettaglio […] ove veniva riportata la dicitura “siciliani”.
Andiamo per step: a fine dicembre 2015, Endrizzi riceve la visita di due funzionari dell’Agecontrol SpA, società con funzioni ispettive interamente controllata da Agea Spa, ulteriore società a capitale interamente pubblico, dipendente dal Ministero dell’Agricoltura, che costano al bilancio pubblico circa 220 milioni di euro all’anno; Agecontrol SpA, che ha all’organico 256 dipendenti, possiede una serie di sedi dislocate su tutto il territorio nazionale e ha potere ispettivo e di elevare sanzioni nell’ambito di controlli, anche riguardo l’ortofrutta.
Terminato il controllo, l’unica irregolarità che i due funzionari rilevano è la dicitura “siciliani” su un’etichetta di fagiolini: Endrizzi chiede immediatamente spiegazioni ed i due solerti controllori affermano che la normativa europea richiede l’indicazione del Paese d’origine e che, in linea di principio, ci potrebbe essere qualcuno che non sa dove si trovi la Sicilia.
A metà aprile Endrizzi ha ricevuto il verbale di contravvenzione e, ovviamente, è subito scoppiato il caso prima a livello locale, poi rimbalzato agli onori delle cronache nazionali: la strumentalizzazione politica ha iniziato ad imperare nelle vie cittadine, sui social network e persino nelle Assemblee Parlamentari; curiosa, quasi esilarante, è la massiccia partecipazione a questa indignazione di coloro i quali, fino a poco tempo fa, se ne fregavano, o meglio disprezzavano apertamente la cultura siciliana, la quale, perché no, poteva anche essere bruciata dal Mongibello, che con la sua eruzione avrebbe lavato inoltre tutti i cittadini alle sue pendici.
Tralasciando questa nota di pura acidità politica, veniamo alla questione giuridica, ben più interessante ed intrigante: la normativa europea afferma che, per i prodotti ortofrutticoli non trasformati (quali i fagiolini venduti al dettaglio), sull’etichetta vada trascritto il “Paese d’origine ed eventualmente la zona di produzione del prodotto stesso”; ad una prima lettura, quindi, la sanzione elevata non è totalmente errata, se non fosse per quel famoso articolo 12 delle Preleggi, che ogni giurista, ma anche ogni soggetto che lavora con le norme, dovrebbe avere impresso in testa, un po’ come i teffilin per gli ebrei.
Il primo comma dell’articolo 12 recita che “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”: la locuzione “e” è importantissima, quasi fondamentale, in quanto indica al giurista che la norma va interpretata mediante il criterio letterale e contemporaneamente mediante il criterio logico-sistematico; questa elucubrazione di natura squisitamente giuridica, e mi rendo conto leggermente noiosa, sta ad indicare che non ci si può limitare ad interpretare la norma parola per parola e nella sua sintassi, ma si deve fare un passo ulteriore andando ad individuare le intenzioni del legislatore, e quindi le motivazioni che hanno portato all’emanazione della norma giuridica.
In questo caso, il legislatore europeo non voleva, almeno a parere di chi scrive, creare una norma al solo fine di elevare sanzioni, bensì al fine di garantire i cittadini dell’Unione al momento dell’acquisto di prodotti ortofrutticoli, andando ad evitare quindi che un arancia spagnola sia venduta come se fosse un tarocco siciliano.
Inoltre, è curioso come certe lobby della distribuzione tridentina, che possiedono decine di punti vendita in tutto il Trentino, mai siano state toccate da una sanzione in merito: esperienza personale mi insegna che ogni anno, aprendo decine di pesche, queste siano immangiabili in quanto ghiacciate (ma vendute come fresche); credo che sia ben più grave questo comportamento rispetto a quello del fruttivendolo di piazza Vittoria.
Il problema è proprio questo: gli organismi di controllo servono a tutelarci o a vessarci? Temo che ormai la tendenza sia la seconda e che gli ordini di scuderia siano quelli di elevare sanzioni all’inverosimile, quasi per giustificare questo immenso carrozzone che chiamiamo macchina dello Stato; questo però, ci insegna la dottrina, non è più uno Stato di diritto e forse su ciò Renzi, il ministro Martina e tutti i burocrati di Stato dovrebbero rifletterci: Endrizzi, a prima vista e per quel poco che personalmente ho sentito parlare di lui, è un uomo forte, ma va notato che ci sono state decine di agricoltori che si sono suicidati per sanzioni illogiche (e dopo la morte dell’agricoltore di turno anche annullate dall’organismo giudicante).
Una volta si diceva “fatta la legge, trovato l’inganno”: oggi, forse, sarebbe meglio dire “fatta la legge, cittadino ti inganno”…
dalla Spada di Damocle – Maggio 2016