di Marika Poletti
L’uomo, qualsiasi uomo, brancola nel buio alla ricerca della sua nicchia di spiritualità. L’estensione verso qualcosa di più alto rispetto alla vita mondana è connaturata nell’essenza stessa dell’essere umano.
È per questo motivo che per millenni, da generazione in generazione, al di là dell’ambito religioso, i popoli si tramandano racconti, miti fondativi e favole per alimentare quella scintilla che si accende in tutti noi quando si entra in contatto con personaggi epici ed eroici: sentimenti che, secondo Ortega y Gassett, risvegliano inconsciamente quella parte del nostro io che, seppur rattrappita, intende risollevare le sorti del mondo e ricondurle alla grandezza di un’età dell’Oro.
Privare l’uomo di questo spiraglio di crescita interiore significherebbe portarlo al definitivo annichilimento. Che, a ben guardare, è quanto da qualche decennio sta accadendo: edulcoriamo l’immagine di forza e di vitalità a favore di una prospettiva molto più banale e grigia, annientando tutto ciò che di bello vi è in un popolo. E lo facciamo da subito, addomesticando le nuove generazioni sin dai primi anni di vita.
Siamo passati dal raccontare loro le favole tradizionali, quelle che raccolgono il patrimonio valoriale della nostra comunità e le gesta di grandi eroi, ai racconti NPO (“narrativa pedagogicamente orientata”) in cui ciascun aneddoto è incentrato sulla normalità e quotidianità del bambino, come il suo esser capriccioso alla cassa del supermercato od i rapporti con i compagni di scuola. Così facendo abbiamo cancellato dall’immaginario dei più piccoli l’eroismo, il coraggio, la nobiltà d’animo e, soprattutto, la lotta tra il bene ed il male, paradigma di ogni racconto tradizionale.
Siamo passati, in altre parole, da Artù ed i cavalieri della Tavola Rotonda ai moderni libelli pedagogicamente orientati come “Il segreto di papà” in cui si spiega ai destinatari –bimbi di 3/5 anni- che il proprio padre potrebbe lasciare la famiglia per andare a vivere con il compagno gay.
Molto spesso questa sostituzione dei racconti della nostra cultura è motivata con la necessità di difendere la sensibilità dei bambini rispetto ad alcuni passaggi cruenti contenuti nelle favole e nelle leggente tradizionali; sciocchezza, questa, rigettata al mittente anche da Steiner per il quale i piccoli metabolizzerebbero meglio anche i passaggi più crudeli dei racconti di sempre rispetto ai frangenti negativi delle favole moderne . A giudicare da quanto emerge, ciò pare assolutamente comprensibile: nessun lupo di Cappuccetto Rosso o strega di Biancaneve potrà mai essere più destabilizzante del cosiddetto “segreto di papà”.
Ogni popolo ha invece bisogno di un mito fondativo. Di questo se ne accorsero anche i nonni dell’attuale degrado italiano che decisero di legittimare l’Italia come ora la conosciamo con un artifizio retorico: “Persino la nostra Repubblica,” per dirla con le parole di Marcello Veneziani “sorta sulle rovine della morte della Patria, cresciuta nel servilismo internazionale e nel patriottismo delle patrie altrui, allergica all’eroismo per definizione, riconosce il suo atto di fondazione in quelli che vengono ancora chiamati “gli eroi della Resistenza”.
Con buona pace dei profeti del 25 aprile, l’uomo sano non ama l’astuzia e gli intrighi ma prova profonda attrazione per il valore eroico ed il coraggio; non alza altari per la vittoria in sé ma per coloro che combatterono, anche nella consapevolezza della morte, per un ideale superiore. “Firenze è la più bella città della Penisola perché lì gli italiani ci accolsero sparandoci dai tetti.”: così si espresse il Generale Harold Alexander, Comandante supremo delle forze alleate del Mediterraneo, parlando dei franchi tiratori. Del resto proprio sul finire della Seconda Guerra Mondiale la lingua inglese si arricchì di un nuovo termine, “to badogliate”, per indicare un’azione ambigua e volta al tradimento: un qualcosa di molto italiano secondo la cultura anglosassone. Con questo non si vuole dire che dobbiamo accettare lezioni dagli autoproclamati maestri d’oltreoceano ma quantomeno dovremmo avere consapevolezza della considerazione che nutrono per noi anche coloro che sono stati oggetto della nostra idolatria ed ai cui piedi di siamo prostrati.
La storiografia che, a questo punto, potremmo definire anch’essa pedagogicamente orientata, esprime una vera e propria apologetica della pace intesa come situazione di stallo da guadagnarsi ad ogni costo. Ne abbiamo avuto ampia riprova durante tutto il 2015 con le celebrazioni in occasione del Centenario della Grande Guerra, appuntamenti durante i quali si è quasi totalmente accantonato il valore delle gesta dei nostri antenati per far posto a superficiali discorsi di fratellanza e amore tra i popoli. La pace è una condizione auspicabile ma non a scapito della libertà di poter vivere secondo i propri costumi sulla nostra terra.
L’educazione pedagogicamente annientatrice dovrebbe esser sostituita con un percorso di formazione che risvegli sia sul piano allegorico che su quello etico una spinta verso una società forte ed integra, creando un ponte con il proprio passato –quello da recuperare-, trasfigurandone l’impianto valoriale anche nei racconti destinati ai più piccoli. Saranno proprio questi ultimi a goderne maggiormente, vedendosi garantito il diritto a poter aspirare a qualcosa di più alto rispetto alla melassa in cui li vogliamo costringere.
Diamo loro il diritto di crescere guardando a Leonida ed ai suoi uomini, “questo sacello d’eroi valorosi come abitatrice la gloria d’Ellade si prese” o calvacare oltre il Vallo di Adriano, a Camelot. Permettiamo alle bambine di pensare che vi è altro rispetto alle protagoniste dei programmi di Maria de Filippi. Raccontiamo loro dell’imponente virtù di Penelope, Regina di Itaca e della forza di Éowyn, figlia di Re Theoden, personaggio nato dalla penna di Tolkien, “bella, bella e fredda, come una mattina di pallida primavera, e non ancora maturata in donna”. Un misto tra storia e leggenda, tra letteratura epica e saghe cavalleresche; una sintesi tra il mondo degli umani ed il cielo (Walhalla, Paradiso o Regno di Allah che sia).
E dando ai bambini il diritto di germogliare sani, potremmo garantire alla nostra società di crescere forte. Le conseguenze dell’inebetimento le abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni: formare intere generazioni in un clima di catecumenismo dei sentimenti significa voler essere responsabili, per esempio, di ciò che è accaduto la notte di San Silvestro a Colonia, in Germania, dove un migliaio di extracomunitari hanno molestato sessualmente centinaia di donne tedesche in piazza e nei vicoli adiacenti alla stazione ferroviaria. Questo incredibile accadimento ha potuto aver luogo non solo perché abbiamo rovesciato parte delll’Africa nel Vecchio Continente ma anche a causa dell’arrendevolezza dei popoli europei, cresciuti a favolette gender e l’apologia dell’uomo mediocre, quello che votiamo perché “è come noi”, non perché è meglio di noi.
2 pensieri su “Salve o Popolo di eroi…”